mercoledì, novembre 06, 2013

Il Blog Nostalgia - sindorme dell'epoca d'oro.

La breve clip che apre questo articolo ha dato una definizione più che concisa di quella che viene definita la “sindrome dell’epoca d’oro”: una forma di negazione della banalità del presente a favore dell’idealizzazione di un determinato periodo storico durante il quale noi saremmo stati più a nostro agio.

Gil, il protagonista di “midnight in Paris”  di Woody Allen, è innamorato della scintillante Parigi degli anni venti, popolata di grandi artisti come Heminguay, Fitzgerald e Picasso …


Per uno strano caso del destino, durante le sue passeggiate notturne per i vicoli di Parigi, si ritrova notte dopo notte proiettato nella sua epoca preferita a parlare e scherzare con i suoi grandi maestri. La permanenza in questa realtà alternativa lo soddisfa a tal punto di innamorarsi di Adriana, l’amante di Picasso.

Il protagonista del film, è un aspirante scrittore ed il romanzo a cui sta lavorando parla di un negozio nostalgia. Cos’è un negozio nostalgia? È presto detto: un negozio che conserva tutte quelle cianfrusaglie delle epoche passate. Un luogo dove almeno con qualche cimelio, si può avere l’impressione di far rivivere un passato più consono alla nostra indole.

Ben presto Gil si renderà conto che le parole del suo saccente amico non erano affatto sbagliate e che l’idealizzazione di un’epoca più lontana è comune a tutti i popoli e a tutte le epoche. La mitizzazione di un passato più glorioso è una forma di negazione di un presente che non ci soddisfa abbastanza.

Di “Sindrome dell’epoca d’oro” ne hanno sofferto praticamente tutti perfino gli antichi romani. Andateglielo a dire a Petrarca, che andava in brodo di giuggiole ogni volta che pensava alla favolosa res publica romana, che Cicerone si strappava i capelli e si mordeva le mani all’idea che se fosse nato solo qualche secolo prima, avrebbe potuto camminare a braccetto con Catone il censore e scialarsi in quella vecchia Roma dove il mos maiorum era la prassi.

E che dire dei romantici dell’ottocento che componevano poemi su poemi narrando le fiabesche avventure di dame e cavalieri trasformando quell’epoca oscura e incasinata in un grande arcobaleno di colori e azioni virtuose?

I giovani americani degli anni settanta restavano attaccati allo schermo quando veniva trasmesso “happy days”  o “Grease” ed invidiavano la spensieratezza degli anni cinquanta.

La sindrome dell’età dell’oro è una “malattia” diffusa, più di quanto non si pensi.  È raro trovare qualcuno che si trovi veramente a proprio agio con l’età in cui vive, ma in generale il problema maggiore lo abbiamo con il concetto di presente: ci sono gli ottimisti che guardano con speranza al futuro, proiettando in questa nebbia non ancora definita tutte le aspirazioni e le soddisfazioni che si aspettano dalla vita; e poi ci siamo noi (e si, mi ci metto in mezzo pure io) i nostalgici.

 Nostalgici di cosa, poi? Nostalgici, di qualsiasi cosa, di un posto, un luogo che ci siamo persi, di qualcosa che non tornerà mai e che non abbiamo mai potuto conoscere. Di un’immagine di un paesaggio ed una musica che possiamo solo immaginare ma che non potremo mai afferrare.

Nostalgico è Umberto Eco nel suo “Baudolino”, quando racconta la vita di questo giovane ragazzo che si unisce alla corte di Federico I Barbarossa. Eco, in questo romanzo, fornisce al lettore uno spaccato quanto mai reale dell’Europa medioevale, con tutti i lati negativi, l’ignoranza, l’efferatezza delle invasioni, ma riesce a trasmettere al lettore anche il senso di stupore e di meraviglia proprio di quell’età. Superstizioni, tradizioni, stili di vita che fanno sorridere il lettore del ventunesimo secolo, ma che gli fanno comprendere che quell’ingenuità di spirito, propria di quell’epoca,  è persa per sempre, e un po’ di invidia per Baudolino ed i suoi compagni, ti viene.

Nell’era di whatzapp e di Facebook , della tv on demand e dello streaming leggi della famiglia Bennet riunita attorno al fuoco a leggere e a giocare a carte, dei timidi sguardi tra innamorati e ti chiedi dove sia andata a finire la poesia di un incontro, quando l’incontro nasce virtualmente su una chat.

La pagina digitale ha sostituito la carta da lettere; il foglio impiastricciato di rossetto e profumo che la fidanzatina inviava al promesso sposo è stato rimpiazzato dalla foto allo specchio col culo all’aria (e scusate il francesismo).

Con questo non voglio addentrarmi nel solito becero discorso del “non ci sono più i sentimenti di una volta” perché, se una cosa la storia ce l’ha insegnata, è che possono cambiare i secoli, i vestiti e le abitudini, ma il cuore dell’uomo, con i suoi pro e i suoi contro, resta sempre lo stesso ; ma, la bellezza di quelle azioni lente, delle attese, anche del contatto fisico, minimo, ma proprio per questo sentito mille volte più potente… surclassano completamente la freddezza dell’era digitale.

Per Gil di “Midnight in Paris” l’epoca d’oro è la Parigi anni venti, per la bella Adriana è la "belle époque" per me è la campagna inglese di primo ottocento, così come ce la racconta Jane Austen, o, insomma qualsiasi inglese vissuto in quell’epoca.

E per voi? Di quale epoca mai vissuta hanno nostalgia i Prudenti ed i loro lettori?

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