martedì, febbraio 26, 2013

Ore 12 - Come fare cosa: i gioielli di Ivy Sullivan


Avete presente quei cerchietti morbidi che si trovano nelle campane di cd e dvd? bene. Questa mattina, tra una commedia di Plauto e l'altra, ho pensato di usare uno di quei famosi cerchietti per realizzare un ciondolo per collane altrimenti utilizzabile come anello. L'ispirazione è targata Ivy Sullivan, per chi - come me - continua a farsi del male guardando le puntate ormai senza senso di 90210. 

Ivy Sullivan, per chi non la conoscesse


OCCORRENTE:

 un cerchietto morbido da campana-di-dvd







tre penne colorate a punta fine (preferibilmente: rosso, arancio, azzurro)

PROCEDIMENTO:


con la penna blu, tracciate delle linee a vostro piacimento (nel mio caso, si tratta di una stella sbilenca o di una specie di sole...vabè)


riempite i vuoti col blu


disegnate con l'arancio una contro-stella, alle spalle di quella blu


usate il rosso per riempire gli spazi bianchi

Bene. Il vostro lavoro è terminato! quanto tempo vi ha tolto? due minuti? ed ecco qui il risultato:



Provateci anche voi! scommetto che riuscirete molto meglio di me. D'altra parte, lo sanno tutti che in disegno sono sempre stata una capra :)







giovedì, febbraio 21, 2013

Ore 00 - Scritto infestante No. 1

Ore 00 - Scritto infestante No. 1

dicono alcuni che finirà nel fuoco il mondo, altri nel ghiaccio. del desiderio ho provato quel poco, quella minuscola stilla di nettare ardente che mi fa scegliere il fuoco, condannando il mondo a bruciare espiando peccato non commessi, per il perdono dei grandi e lo schiacciamento dei piccoli, che unica colpa hanno avuto esser figli di un dio crudele e distruttore, un culto inumano che vi volle schiavi già prima di abramo. vecchio stolto, che piange ancora nel desiderio di esser rimasto in piedi, senza posare a terra il ginocchio, gettandosi tra le catene di una schiavitù infernale, glaciale.
si sente un urlo dietro la collina dei funerali, è l'ennesimo muratore caduto a sporcar la strada, ad annoiar di ciance salotti scandalizzati, dame e damerini lucidi e imbellettati, inutili cantanti di giorni sciagurati.
come l'edera non ha senso compiuto questo scritto, e per questo è la più fedele riproduzione del viaggio di una mente attraverso pensieri e parole.
ma d'altronde che ne sai, tu di un campo di grano, le spighe d'oro ritte come specchio dei raggi di sole, fino all'ombra dell'ultimo sole, a pescar pensieri e ricordi e foglie e bocche d'oro tra i narcisi, a guardar da lontano i bambini giocare e scavalcare cancelli, bevendo lentamente alla coppa che mai potremo afferrare con forza per, finalmente, dissetarci. il cuore è impazzito, non ricordo più cosa fu, se il cappello floscio o il vento ormai posato, la cui carezza non avrei più sentito sulla pelle stanca, sul naso lungo.
tu, regina ombrosa, fastosa nel tuo regio manto, che porti corona d'oro e manto d'ostro, stracciona nei tuoi occhi vedo il trono abbandonato di una gentilezza mancata, di una vita violata. tu, puttana a quattordici anni, a sedici già la disillusione ha fatto non breccia, ma con la forza di uno stupro si è annidata dietro le tue pupille con l'ineluttabilità di una morte, la tua.
tu barista, custode un po' laido di segreti e passioni e vittorie e sconfitte e dio solo sa cos'altro, hai ancora quel tuo vizio di sputare nelle tazzine dei clienti nuovi? sei ancora dalla parte della sempre più sparuta schiera di saggi baristi cui non manca mai la parola giusta sulle labbra?
non lo sono mai stato, sicuro di essere ignorante, nè sapiente.

mercoledì, febbraio 20, 2013

Ore 12 - Psicoarmiamoci.


Aveva commesso (e l’avrebbe commesso anche se non l’avesse mai messo nero su bianco) quel reato fondamentale che conteneva dentro di sé tutti gli altri. Lo chiamavano psicoreato.
(George Orwell, “1984”)



  Immagine tratta da electro-gn.com

Rispondiamo sinceramente: quante volte noi pensiamo nella nostra vita, intendo, Pensiamo con la p maiuscola?

Un esempio banale e preciso: Pensare è fare panoramiche e dettagli di tutte le faccende e i dilemmi che si dovranno sbrigare, non-pensare è inventarsi rapidamente temporanei rimedi a emergenze immediate.

Se la risposta è “Sì, io progetto!”, voi potete smettere di leggere e io di scrivere questo articolo. Se “No, io mi getto!”, consoliamoci: fanno così tutti, persino laggiù in politica («Ideologia! Ideologia! Malgrado tutto credo ancora che ci sia…» cantava qualcuno)!

Questa è la conseguenza sociologica di un luogo comune affermatosi in questi frenetici tempi di movimento incessabile, precipitoso e confuso: l’azione concreta è tutto, conta l’agire, mentre l’idea è inconsistente, quasi inutile, solo un’artificiosa proiezione a posteriori del fatto.
 
Trascurando l’antico dibattito sul rapporto tra teoria e prassi, che equivale un po’ a interrogarsi su chi sia nato prima tra l’uovo e la gallina, dov’è il problema?

Immagine tratta da energiamaya.com
Il problema è che l’indolenza di pensiero di qualsiasi forma o tipo è sempre accompagnata da una certa passività e incondizionata accettazione; non ci addentreremo certo nella solita denuncia trita e ritrita dei media e della manipolazione di massa… mi limiterò a dire che non è affatto un caso se, quando andiamo al supermercato per comprare qualche bene di prima necessità come il sale o la pasta, tendiamo a girare in senso antiorario, e riusciamo a trovare il prodotto cercato solo dopo almeno una mezz’ora abbondante di ricerche!

Pensare consapevolmente, anche solo per la risoluzione di problemi privati, è allora il primo, e forse più temuto, gesto di impegno e ribellione.

Purtroppo, nonostante le apparenze, è anche il più difficile da compiere per chi non è abituato: quindi, di seguito saranno riportate delle illustrazioni sul funzionamento della mente e ragguagli elaborati da alcuni esperti per riflettere in maniera più lucida, e per affilare meglio le lame della nostra rivoluzione personale.


1- Ricco, anzi, ricchissimo vocabolario. Frase ripetuta costantemente dai linguisti occasionali della domenica. Anche le citazioni autorevoli si sprecano, giungendo fino alla Bibbia; tra tutte, forse le parole più interessanti, o sicuramente affascinanti, sono del novecentesco Heidegger: “Il linguaggio è una finestra sull’Essere”…

Georges Braque, "La Tasse"
Fuor da astratte speculazioni, il merito della lingua viene spesso sottovalutato dai più, in quanto si riconosce solo la sua funzione comunicativa (o, in termini tecnici, funzione referente): a ogni suono è associato un oggetto, così per far intendere quell’oggetto si modula quel determinato suono. In realtà, il grande potere del linguaggio sta nella sua funzione significante: nel momento in cui si pronuncia un nome, noi non stiamo solo identificando un oggetto reale, ma stiamo già descrivendo delle qualità dell’oggetto, inserendolo in una fitta rete di collegamenti e relazioni; per esempio, nella parola “automobile” sono già implicite le idee di capacità potenziale (desinenza “-bile”, “che può essere”), di movimento (radice “mob”), e di autonomia (prefisso “auto”).

 Compenetrare più a fondo i rapporti del tutto, ordinare e padroneggiare maggiormente ciascun concetto, comprendere meglio il contingente attraverso la scelta delle sfumature più idonee di caso in caso: questi i vantaggi reali del possesso di un ampio lessico, senza dimenticare che ciò che non è designato da un nome molto difficilmente può essere pensato… i limiti del nostro mondo sono i limiti della nostra lingua.

 
2- Cambi di prospettiva, ovvero l’apprendimento. Tentiamo di risolvere questo piccolo rompicapo:

Immagine tratta da it.123rf.com

unire tutti e nove i pallini tracciando quattro linee senza mai sollevare la penna (ipotetica) dal foglio (si fa per dire).

Più arduo del previsto? Colpa del punto di vista tradizionale: raggruppando tutti i pallini in un unico quadrato, ci costringe a ricercare la soluzione lungo il suo intero perimetro! E, con devastante spudoratezza, ci vengono sbandierati i limiti dei nostri convincimenti e modi di vedere (chiamati, in psicologia, belief), che deformano le percezioni e ostacolano la risoluzione di problemi.
 
Ecco perché cambiare prospettiva e confrontarsi con visioni diverse è una necessità imprescindibile, tanto per le impressioni (bisogna pensare alcuni dei pallini come parte di un triangolo) quanto per la cultura, i costumi, la società… Ne seguirà sempre un arricchimento, determinato dal metodo stesso di apprendimento umano: assimilazione e accomodamento (teoria dell’apprendimento di Piaget): una volta costruito un nostro sistema di catalogazione, noi ordiniamo i vari dati ricevuti secondo tale sistema, non poco agevolati anche dall’opera di manipolazione del belief; ma quando incontriamo un elemento che proprio non si adatta, o un problema che non può essere sciolto con gli schemi classici, abbiamo solo due chance: o lo ignoriamo, o modifichiamo appositamente il nostro sistema. La prima opzione si chiama scappare, la seconda crescere.
 


3- Studiamo per un restilying (attributivo). Anche se la scienza ha ormai constatato che il caso e la probabilità hanno un ruolo fondamentale nei fenomeni, ciò non toglie che il principio di causa necessaria è una delle categorie fondamentali con le quali il nostro cervello interpreta il mondo, come affermava Shopenhauer. 
Alla realtà piacciono le simmetrie e i leggeri anacronismi
(Jorge Luis Borges)


Lo stile attributivo, in effetti, è quel processo cognitivo, scoperto dallo psicologo Albert Ellis, che si occupa di riordinare i vari fatti registrati secondo una consequenzialità logica di causa-effetto; tuttavia, tale riordinamento avviene in maniera arbitraria e personale, e quindi non sempre esatta (in generale, si può tendere ad avere un “locus of control” esterno, ovvero a pensare che tutto ciò che capita è dovuto a forze esterne, o interno, credendosi gli unici responsabili di ogni avvenimento).

Approfondire lo studio dei corretti rapporti causa-effetto non solo eviterà inutili sensi di colpa o vittimismi, ma permetterà un cosciente controllo sugli eventi e, per chi si darà molto da fare, addirittura la previsione.
Qualche dimostrazione pratica: se dovessimo uscire con un gruppo di persone nuove cui vorremmo risultare subito simpatici, sapremo che basterà indossare vestiti con colori molto accesi, perché l’encefalo tende a riconoscerli come amichevoli; oppure, se ci troviamo davanti al rovesciamento violento di un regime autoritario, sfogliando un po’ la storia sapremo che probabilmente esso verrà sostituito da un altro regime dittatoriale.


 4- No al crogiolamento. Sempre più persone ormai preferiscono rimuginare e rimuginare sulle cause, su pericoli cataclismatici, sulle colpe, piuttosto che riflettere per possibili strategie seguendo un algoritmo di problem solving; lo si può osservare dalle riunioni parlamentari alle assemblee di classe a quelle di condominio.

Gruppo di politici in consiglio
Ovviamente, questo genera inerzia e inoperosità, oltre a un enorme zibaldone.
Daniel Goleman, famoso studioso degli stati emotivi, ha individuato anche un altro tipo di crogiolamento, più pericoloso: quello dovuto a rabbia, ansia e tristezza; tali emozioni infatti tendono ad autoalimentarsi all’interno dell’amigdala formando vere e proprie “catene di pensieri”, nelle quali ogni nuovo pensiero (che ovviamente sarà distorto e assolutamente non obiettivo) provoca una reazione emotiva più intensa del precedente, sfociando alla fine in gesti inconsulti, come atti di violenza, crisi di panico o depressione.

"Uomo malinconico" di Dolianova (Enrico Vacca)
Per sfuggire al primo tipo di crogiolamento basta concentrarsi un po’ e rendersi conto dell’inutilità del proprio arrabattarsi mentale. Più complicato da affrontare il crogiolamento emotivo: le catene di pensieri spesso ci persuadono della loro giustezza, o si mascherano come sane meditazioni interiori, o semplicemente noi proviamo un certo gusto nel guazzarvi dentro (le catecolamine, gli ormoni responsabili della collera, danno un’eccitante sensazione di forza e invincibilità, mentre quella torpida paralisi tipica della tristezza  risulta piacevole per molti aspetti).
I consigli per disincantarsi sono molti e diversi in rapporto all’emozione e all’origine di essa, ma i principali e validi per ognuno sono: cercare di uscire dalla catena non appena ci si accorge di essa; mettere in discussione le varie idee che si creano, magari cambiando punto di vista (vedi punto precedente); sfogarsi con della sana attività fisica, anche solo una passeggiata all’aperto.


5- Relax, individuazione degli obbiettivi. Il pensiero è definibile come uno smisurato oceano nel quale è facile perdere la rotta, essere travolti da improvvise tempeste, trascinati dalle correnti o bloccarsi nella bonaccia; tra tante avversità, bisogna usare l’obbiettivo come faro verso cui orientare la navigazione.

Fase più importante in ogni riflessione, dopo una breve descrizione della situazione e analisi preliminare delle cause, è quindi la specificazione di cosa vogliamo, di qual è il nostro fine, per poi passare alla valutazione dei modi migliori per ottenerlo o raggiungerlo.
A volte il problema si rivela proprio il non sapere cosa si vuole veramente, ma anche in questo caso possiamo individuare un obbiettivo preciso: l’individuazione di un obbiettivo preciso! La capacità di afferrare subito la propria volontà o scegliere con cognizione e sicurezza dipende dalla maturazione personale e conoscenza di sé stessi, ma un paio di indicazioni aiutano sempre.
 
Sospensione del giudizio: il tempo o una dormita hanno la capacità di rischiarare anche i nodi più intricati.
Dove non basta il ragionamento razionale, ascoltiamo gli impulsi, le emozioni, i sentimenti, le intuizioni.
Silenzio interiore: facciamo tacere ogni singola voce della nostra coscienza, annulliamoci quasi, e entriamo così una sorta di estatica contemplazione su noi stessi e ciò che ci circonda (anche esercizi di respirazione possono risultare molto efficaci).
Non si abbia paura di concedersi momenti di ristoro, o dedicati a hobbies.


6- Analitica curiosità e balda critica. È fondamentale chiedersi sempre: “Perché?”.
Questo imperativo categorico potrà sembrarci scontato, forse pure discutibile, ma la duplice risposta alle nostre legittime riluttanze non lascia adito a dubbi: pragmaticamente asserendo, condursi in fondo alle cose, indagando possibilità, validità e limiti, insomma criticando, impedisce di venire ingannati e manovrati, e permette di costruirsi una propria opinione o alternativa.
Da un aspetto più filosofico e astratto, ricordiamoci che la sete di conoscenza, quella che nel 200’ spinse l’Ulisse di Dante alla morte, oggi spinge un uomo alla vita: lo scienziato Stephen Hawking, famoso per le sue scoperte sui buchi neri, aveva appena vent’anni quando gli fu diagnosticata una rara malattia degenerativa ai motoneuroni; pur non muovendosi e non parlando autonomamente, egli ha continuato le sue ricerche e studi, messo su famiglia, contribuito alla fisica mondiale e alla sua divulgazione, ed è diventato così personaggio di spicco e idolo mondiale per tanti giovani.
Il suo appello all’umanità, pronunciato durante l’apertura delle Paralimpiadi di Londra, è proprio: «Provate a trarre un senso da ciò che vedete e domandatevi cosa fa esistere l’universo. Siate curiosi!» Egli rappresenta la conferma che la vera essenza dell’umanità è la conoscenza, anzi il desiderio di conoscenza, la curiosità! E di curiosità quindi dovremmo nutrire noi stessi, la nostra vita e il nostro pensiero.




Ore 00 - The Help: giustizia e mobilitazione



Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo.(Che Guevara)

Penso a un film piuttosto recente, famoso e illuminante: The help.
Già, illuminante.

Siamo in Mississipi negli anni 60 e il razzismo nei confronti delle persone di colore dilaga, così come l'ipocrisia con cui viene mascherato e allo stesso tempo ostentato. Le protagoniste della vicenda sono due domestiche di colore vittime di innumerevoli soprusi e prepotenze da parte dei loro padroni e una giovane scrittrice in carriera che, inizialmente interessata solo alla sua affermazione professionale, decide di scrivere un libro basato sulle loro esperienze, per denunciare questa realtà. Per le domestiche parlare è molto pericoloso perché rischiano il licenziamento in tronco e, anche peggio, la violenza dei membri del Ku Klux Klan, tuttavia, in seguito all'ingiusto arresto di una loro compagna, decidono in gran numero di raccontare le loro storie. Il libro viene pubblicato ed è anonimo.
La mobilitazione nel film si tocca con mano e ha effettivamente funzionato, il problema dell'integrazione razziale oggi è stato quasi superato, grazie alle lotte e all'impegno di tante persone.
Ma allora lo scopo?
The help non è un film solo celebrativo, propone anzi tante altre situazioni ingiuste e tuttavia apparentemente secondarie rispetto al tema principale. Soprattutto non ancora risolte.
Per esempio la violenza nei confronti delle donne. La domestica che ne è vittima lascerà il marito alla fine del film, è vero, ma questa scelta ieri come oggi non è sempre possibile.
Gli uomini del film sono quasi tutti connotati negativamente, persino il ragazzo che ha una relazione con la scrittrice, nonostante la iniziale promessa di appoggio, la lascia appena il libro pericoloso e sovversivo viene pubblicato.
Il razzismo e l'esclusione di persone diverse, di ogni genere. Nel film c'è una donna bianca, Celia Foote, che viene presa in giro, considerata volgare e allontanata crudelmente da tutte le signore ''per bene''.
Il razzismo in sé è un tema lungo e articolato, tanto quanto la violenza sulle donne, e se ne potrebbe parlare per ore, con centinaia di esempi. Magari se n'è parlato fin troppo.
Raccontando di una mobilitazione che ha raggiunto il suo scopo e coinvolgendo emotivamente gli spettatori il film vuole spingerci ad attivarci contro qualunque forma di discriminazione e ingiustizia.
Perché, si sa, la mobilitazione è proprio figlia dell'ingiustizia.  

martedì, febbraio 19, 2013

Ore 12 - Les Misérables parte 3 - Un percorso attraverso i costumi.

Post restaurazione. Il popolo francese è ancora una volta sottomesso ad un re e vuole insorgere. Il popolo francese è stanco, combattuto, affamato, scontento. I ricchi sono sempre più lontani dai poveri. E si vive fra le strade, con stracci e malattie. Senza amore, senza pane, senza speranza.
Questo è il mondo dei Miserabili: diseguaglianze sociali e malcontento generale. Victor Hugo compone una storia monumentale che percorre un periodo di tempo dal 1815 al 1848. Tom Hooper invece decide di trasformare questo capolavoro in una rivelazione: un musical capace di riportare ogni singola emozione.

Tra le varie nomination agli Oscar, oltre ad Hugh Jackman e ad Anne Hathaway per la loro splendida interpretazione, quella a Paco Delgado per i Migliori Costumi.
Il costumista, già famoso per La pelle che abito, ha curato con particolare attenzione ogni abito dei diversi protagonisti.
Il suo è stato un vero e proprio percorso, non solo di ricerca, ma anche di riscoperta dei caratteri dipinti da Hugo.
Il più importante è sicuramente Jean Valjean: il regista voleva conferirgli una sorta di santità, ovvero un cammino che portasse sulla buona ed umile strada. L'ex galeotto da ladro si trasforma in un sindaco e poi in padre modello, conferendo la personalità di un uomo saggio ed altruista. Anche il suo aspetto lo conferma: partiamo da una situazione difficile raffigurata da una veste rossa e strappata per poi giungere a completi impeccabili, fra cui il multistrato scuro ritrovabile persino in molte nuove collezioni attuali.
Delgado quindi si ispira alla moda contemporanea mischiandola con le raffigurazioni di un tempo.

Più complessa diventa la strada di Fantine. Come sostiene lo stesso costumista, il film è una sorta di specchio. La candida ragazza infatti pare svolgere il processo inverso a quello del protagonista principale, così come accadrà poi con Eponine e Cosette.
Delgado aveva bisogno di rappresentare la sua purezza, il candore, la sua impeccabilità e timidezza, esprimendo una parte apparente della sua personalità: l'abito rosa quasi da Venere o da dama nobile è in assoluto contrasto con quello scarlatto indossato nel bordello.
Prova del chiasmo creato è il colore rosso: Jean Valjean appare nella prima scena vestito di rosso quando è più in basso nella società e così apparirà poi Fantine alla fine della sua decadenza.
Il candidato all'Oscar inoltre sottolinea come si sia completamente avvicinato agli usi dell'epoca: le donne di strada erano coloratissime e presentavano veli trasparenti in ogni parte del corpo.

Con la “caduta” della madre, Cosette, la figlia di Fantine, sconvolge la sua posizione: da serva ribelle a bambola pura e rispettabile. Sembra quasi che la morte sia servita per riportare alla luce un'anima destinata all'ombra.
Gli stracci con cui è vestita Cosette ricordano quelli dei tanti poveri che appaiono ovunque nelle strade parigine. E stonano a confronto con la figlia dei locandieri, Eponine, trattata come una principessa.
Da anatroccolo quindi, Delgado le dona l'aspetto di un cigno, di una giovane elegante, con sempre elementi bianchi a caratterizzarne lo spirito elevato.
Il nero, il verde militare, le tonalità scure rivestono invece l'anima forte e coraggiosa di Eponine ormai adulta; confinata alla strada e senza un futuro, consumata dall'amore per Marius che ha occhi solo per Cosette.
Anche qui Eponine perde ancora una volta, quasi a ricordare che non per tutti c'è un lieto fine.

Ogni personaggio sembra essere quasi esasperato nella sua figura: le situazioni sono così anch'esse marcate da dare la necessità di mescolare elementi di irrealtà e fantasy.
E subito spiccano nei ricordi i Thènardier, i locandieri, che quasi ricordano un circo o gli artisti di strada del Montparnasse. Sono la punta di colore del film e Paco Delgado disegna perfettamente la loro immagine, donandogli costumi quasi da film da animazione. Labbra scarlatte, viso chiaro, cappello nero e riccioli rossi. Un patchwork, un insieme di tonalità che risaltano senza dubbio, quasi rieccheggiando i temi barocchi delle sfilate milanesi alla Dolce e Gabbana.


Ed infine troviamo da una parte (sembrerebbe quella giusta) i ribelli e dall'altra Javert, l'ostinato nemico di Valjean.
La loro è una lotta che segnerà uno strano epilogo ma che rappresenterà anche la fine di un'era.
Javert è simbolo dello stato e quindi della monarchia stessa, la sua morte sarà preludio di una nuova rivoluzione dove ancora una volta le vecchie istituzioni cadranno per lasciar spazio alla comunità e alla democrazia.
La bandiera francese è quasi un nascosto protagonista, presente in ogni circostanza, è lì silenziosa a ricordare la storia e le sofferenze di un popolo illuminato. E tali sono gli abiti dei rivoluzionari, a partire da Enjolras, il capo degli studenti, il più fiero e il più coraggioso, legato ai suoi ideali da sacrificare la sua giovane vita sino ad arrivare a Marius, l'amore di Cosette, e a Gavroche, il saggio ed impavido ragazzino di strada.
E' ad un personaggio realmente esistito che Delgado si ispira questa volta. Nell'Ottocento era consuetudine ritrovare fra i vicoli delle grandi città, bambini che vivevano senza dimora e dimostravano la maturità di uomini ormai adulti.
La divisa che ognuno di loro indossa porta come stemma la coccarda di nastro tricolore ripiegata mediante plissé simbolo della rivoluzione francese, per indicare il loro dovere verso la libertà, la fratellanza e l'uguaglianza.
Ricoperto di blu, per quasi tutto il film, è invece Javert, che si classifica come l'altra faccia della medaglia. L'ispettore di giustizia troppo ottuso per riscattare Valjean. L'ispettore troppo saldo sui suoi principi per abbracciare il cambiamento che infervora la popolazione. La sua divisa militare turchese è similmente ispirata alle nuove giacche invernali di Gucci, così come il rosso scarlatto è ripreso dalla collezione estiva di Paul Smith.
Elementi nuovi per uno stile passato. Paco Delgado cerca di comunicarci attraverso le immagini il percorso psicologico e caratteriale dei personaggi, accompagnandoci in un mondo dove niente è perfetto, dove gli uomini devono lottare ogni giorno e non sempre vincono le loro battaglie. Uomini che forse sono troppo in basso per essere notati, o semplicemente troppo Miserabili per essere considerati. A cui però spetta un riscatto, quello di Dio.
“Look down and see the beggars at your feet
Look down and show some mercy if you can
Look down and see the sweepings of the street
Look down, look down,
Upon your fellow man!”

Ore 00 - Les Misérables parte 2 - La storia nella Storia.


"Ho cominciato un tema moderno: una barricata. Se non ho vinto per la patria, almeno dipingerò per essa."
(Eugène Delacroix, 18 ottobre 1830) 


Rossella, Ilaria ed io al cinema, tre signorine perbene in ora d'aria dall'inferno degli esami. Ci sediamo in terza fila, in mancanza di posti migliori. Guardiamo i trailer e inevitabilmente la pubblicità ci strappa il solito "uh! quello lì lo dobbiamo proprio vedere!". Poi eccola, la prima inquadratura: una bandiera sommersa. I colori, quel blu-bianco-rosso tinti dal verdognolo dell'acqua, mi riportano immediatamente alla mente il quadro di Delacroix, La liberté guidant le peuple. La bandiera francese occuperà anche l'ultima inquadratura del film mentre svetta orgogliosa sulle barricate, in un aldilà che Jean Valjean aveva a lungo agognato e infine raggiunto. Il film - e il romanzo prima del film - inizia e si conclude con una bandiera nel segno della Storia, e la Storia altro non è se non il grande mosaico nel quale si inserisce il tassello delle vite umane che Hugo incide su carta e che Hooper riporta sullo schermo.

1815. Inizia con una data, la libertà vigilata di Jean Valjean. Dopo diciannove anni di reclusione seguiti al furto di un tozzo di pane, il protagonista è finalmente libero. La sua libertà, tuttavia, ha lo stesso sapore amaro della schiavitù: benché egli abbia già scontato la sua pena, la società continua a rifiutarlo in quanto reietto, ex galeotto e dunque uomo da disprezzare ("Chi ha rubato una volta, ruberà per sempre" ripete continuamente Javert, come fosse un mantra). Jean Valjean inizia allora a provare un rancore crescente che sarà spento solamente dall'incontro con il generoso Monsignor Myriel, la cui bontà riesce a convertirlo, verbo che qui sta per trasformare e, al tempo stesso, per ritornare, come da etimologia latina.


"Milleottocentoquindici" è un numero che ha molto da raccontare. E' un numero che dice la fuga di Napoleone dall'isola d'Elba, dice i Cento Giorni e il ritorno di Bonaparte, nonché la terribile sconfitta di Waterloo e la Restaurazione, ovvero il coming back dei Borbone sul trono di Francia con re Luigi XVIII. Ghigliottinato un re, se ne fa un altro. La Carta, promulgata da Luigi XVIII nel 1816, è un compromesso tra le conquiste della Rivoluzione (il cui spettro aleggia sul film e sul romanzo) e un temuto ritorno all'Ancien Régime, la cui reimpostazione sarà fortemente voluta dal successore di Luigi, suo fratello Carlo X, a sua volta destituito da Luigi Filippo d'Orléans.

La scintilla repubblicana e liberale, tuttavia, cova sotto la cenere e si incarna, nell'ultima parte del film, nel personaggio dello studente Marius che, pur essendo il figlio di un reduce della battaglia di Waterloo, è stato cresciuto nel clima reazionario voluto dal nonno e a quel clima, adesso, si ribella.


Torniamo al dipinto di Delacroix, realizzato nel 1830 (anno delle Trois Glorieuses, della fine del regno borbonico e dell'ascesa al potere di Luigi Filippo d'Orléans) e facciamo un piccolo passo avanti nella storia di Marius e Cosette e, contemporaneamente, un grande passo avanti nella Storia della Francia.

E' il 1832. Siamo seduti con Marius e i suoi compagni d'insurrezione intorno ad un tavolo e il nostro capo, il carismatico Enjolras, ci incita a combattere per spodestare Luigi Filippo e riportare la Repubblica alla Francia, la Francia alla Repubblica.


Hooper ha riportato sullo schermo le barricate del '32 con passione, credendoci, ed è forse per questo che lo spettatore partecipa dell'esaltazione rivoluzionaria e, al tempo stesso, della disperazione che Enjolras e i suoi compagni provano nello scoprirsi soli, a combattere su quel che resta delle mobilia altrui, a sparare pallottole contro una monarchia che cadrà solamente molto tempo dopo, nel 1848.



Il regista non ci svela il futuro storico e non anticipa nulla: lo spettatore non sa che la monarchia cadrà e che verrà il tempo della Repubblica per la quale quei giovani hanno donato la vita. Lo spettatore conosce solo lo sventolare della bandiera sull'ultima barricata, il sangue di Enjolras, la fine - temporanea - della rivoluzione.

Il film, tuttavia, non esclude la speranza e termina con un Paradiso trionfante che finalmente accoglie Jean Valjean, dandogli pace, e che restituisce la dovuta dignità alle anime di coloro che hanno combattuto per la Libertà e che, quella Libertà, non l'hanno vista mai.


Rosso - il sangue di uomini arrabbiati!
Nero - il buio dei secoli passati!
Rosso - un mondo che sta per sorgere!
Nero - la notte che termina finalmente!












lunedì, febbraio 18, 2013

Ore 12 - Les Misérables parte 1





 “Les Miserables” romanzo di Victor Hugo diventato musical  nel 1980 grazie a Claude-Michel Schönberg (musiche) e Alain Boublil (testi), approda nei teatri di Londra, diventa un successo a Broadway e poi, finalmente, nel 2012 approda nelle sale cinematografiche di tutto il mondo con un cast stellare che vede come protagonisti Hugh Jackman, Anne Hathaway, Russel Crowe e molti altri bravissimi attori, i quali,per scelta del regista,hanno eseguito i brani,( novità assoluta per i musical destinati alla distribuzione cinematografica) direttamente durante le riprese,al fine di rendere l’interpretazione più sentita e coinvolgente. Il musical è ricco di melodie meravigliose e toccanti, esaltate dalle interpretazioni magistrali degli attori come in“I dreamed a dream” eseguita dalla Hathaway. 

La vicenda ruota attorno alla figura di Jean Valjean, ex galeotto che cerca di lasciare dietro di se il suo passato e altri personaggi che incrociano la sua strada, tutti, accomunati da una estrema malignità di sorte. Ambientato nei decenni successivi alla rivoluzione francese, quando, spenti oramai gli animi rivoltosi, la Francia ha di nuovo un sovrano e gran parte del suo popolo versa in condizioni di estrema indigenza. E’ proprio questa situazione di malcontento a spingere un gruppo di studenti a ribellarsi. In una Francia oramai disillusa, questo gruppetto di giovani si ritrova nell’ABC cafè a parlare di libertà, diritti e speranza. I brani su cui voglio soffermarmi sono proprio quelli dedicati al sogno rivoluzionario di questi giovani:

 The ABC Café / Red and BlackStudenti, Enjolras, Marius, Grantaire e Gavroche
 

Ambientata nell’ABC Cafè,gli studenti sono tutti riuniti quando arriva Marius che confessa loro di essersi innamorato di una fanciulla. Enjolras, capo dei rivoltosi, ricorda all’amico che fa parte di un progetto più grande e che non può permettersi futili distrazioni. L’intera canzone è giocata sul botta e risposta dei due personaggi che danno voce alla loro passione.

Rosso - il sangue di uomini arrabbiati!
Nero - il buio dei secoli passati!
Rosso - un mondo che sta per sorgere!
Nero - la notte che termina finalmente!

 Così recita il coro degli studenti infiammati da Enjolras, mentre Marius risponde offuscato dall’amore:

Rosso ... Sento la mia anima in fiamme!
Nero ... Il mio mondo, se lei non c'è!
Rosso ... Il colore del desiderio!
Nero ... Il colore della disperazione!


Rosso e Nero, la passione per un ideale e la passione per una donna. Enjolras e Marius, in questo canto diventano il simbolo di due imperativi contrapposti; il primo  della necessità di giustizia, richiama il ricordo del fallimento della rivoluzione passata e spera in un nuovo giorno, non solo per se, ma per tutti; il secondo della forza dell’amore. Prima di conoscere Cosette egli si riconosceva in pieno negli ideali dell’amico, ma l’amore ha sovvertito le priorità: se per Enjolras  il rosso corrisponde al sangue, per Marius esso è il colore della propria anima che brucia.

Do You Hear the People Sing? Enjolras, Grantaire, Studenti e popolani


un canto che inizia sottovoce, prima Enjolras, poi Combeferre, e poi esplode e viene cantato da tutti: un inno di libertà, di rivalsa…
Senti la gente cantare?
Cantare una canzone di uomini arrabbiati?
E 'la musica di un popolo
Che non vuole essere schiavo ancora
Quando il battito del tuo cuore
Echeggia il battito dei tamburi
C'è una vita che sta per iniziare
Quando domani arriverà!

Il ritmo è martellante e il ritornello viene ripetuto tre volte in un crescendo che coinvolge immediatamente lo spettatore. Ricorda quelle marce delle opere risorgimentali. “Do you Hear the people sing” verrà riproposta nell’ epilogo nel quale una immaginaria Parigi è diventata un’enorme barricata dove sventolano le bandiere francesi e le bandiere rosse della rivolta. Tutti i personaggi, anche quelli che hanno perso la vita, si ergono fieri sulle barricate e cantano guardando verso l’orizzonte. A mio parere è il brano più emozionante dell’intero musical.

Drink with MeGrantaire, Studenti, donne e Marius

La canzone dell’attesa. È notte, gli studenti sono radunati nella barricata e aspettano l’indomani per combattere. Il popolo non si è sollevato e loro sono soli. Nelle interminabili ore che gli attendono non possono fare altro che bere insieme e ricordare i tempi passati. La paura della sconfitta e di un sacrificio inutile li tocca appena, ma si fanno coraggio insieme. L’ultima bevuta, l’ultima risata perché chissà il mattino cosa riserverà loro.
Drink with me to days gone by
Can it be you fear to die?
Will the world remember you
When you fall?
Could it be your death
Means nothing at all?
Is your life just one more lie?


Credo che non esista nulla di più potente della musica. La musica unisce le persone. Sublima il dolore, la speranza,la gioia del singolo e la fa diventare qualcosa di più grande, più importante, più maestoso. La musica, quando è vera musica, può muovere le masse a cantare all’unisono, come se non esistesse più una folla, come se parlasse e si muovesse un solo corpo. La musica ha un potenziale rivoluzionario paragonabile a pochissime altre cose, “do you hear the people sing” cantata sottovoce, ricorda il nostro “canto degli italiani”, meglio conosciuto come “inno di Mameli”, che venne prima cantato sottovoce per poi esplodere in tutta la sua potenza durante le famose cinque giornate di Milano. La musica armonizza il disordine, lo fa diventare temibile. Comunica le idee meglio della parola scritta, è più sfuggente della parola scritta e si diffonde endemicamente. Passa di bocca in bocca, di cuore in cuore, non importa quanta gente viene ammazzata, finchè ci sarà anche solo una persona a cantare quel motivo, l’idea non morirà e riscalderà i cuori di coloro che credono in essa. Gavroche, il piccolo rivoluzionario, muore cantando “do you hear the people sing” ; il suo sacrificio serve a riaccendere gli animi dei suoi compagni.