lunedì, aprile 29, 2013

Ore 12 - in Linking the Sapient Dream



Per chi non lo conosce, per chi vuole saperne di più, per chi vuole rifletterci sopra



O, per essere più precisi, Lovely Sweet Dream! Diversamente da come potrebbero suggerire le maiuscole delle parole e il video psichedelico, non si parla della ben nota droga allucinogena: LSD è il nome di un videogioco made in Japan del 1998 per playstation 1. Ma una caratteristica in comune con l’oppiaceo ce l’ha: crea sogni artificiali.

Poco si sa sull’origine e sviluppo del prodotto, giusto qualche nome importante, e dai libretti d’istruzione reperiti si capisce ben poco. Se non fosse stato per internet, a dire il vero, il cd non sarebbe mai uscito fuori dal Giappone, e adesso non starebbe spopolando per i vari social network. Prima di esaminarlo da vicino e chiarire cosa ci fa un videogioco in un blog per la conservazione della cultura, ci serviremo dei versi del notissimo poeta incisore inglese William Blake per introdurlo: «Tutto ciò che scorgi, benché ti appaia fuori, è dentro».


La dinamica di gioco è alquanto semplice, i comandi a dir poco elementari: in prima persona, si cammina, si corre e si ruota la visuale; partiamo dall’interno un po’ striminzito di un tipico appartamento nipponico, e si procede esplorando ambienti senza confini e toccando oggetti; ma ogni qualvolta si entra in contatto con un qualsiasi oggetto, pam, teletrasportati in un nuovo ambiente! Tutto qui... Niente obbiettivi, niente nemici da sconfiggere, non ci si è preoccupati neanche di dare una sorta di storiella come cornice. Il susseguirsi inesorabile, sogno dopo sogno, dei giorni è l’unico elemento che ricorda qualcosa dei titoli tradizionali, il classico schema a livelli.

  

Dunque sembra davvero di trovarsi davanti al trionfo spontaneo dell’immaginazione umana: sullo schermo si alternano città tenebrose, antichi templi e oniriche distese di cubi, e con loro anche le combinazioni praticamente infinite di texture, personaggi, musiche; ci si può ritrovare  davanti a elefanti blu volanti come a tori che portano risciò cinesi su due zampe, e poi geisha che giocano a pallone, samurai, serial killer accanto a cadaveri, morbidi faccioni che spuntano dai muri e perfino davanti a una Tour Eiffel viola circondata da ufo! Poi, quando meno lo si aspetta, si attivano filmati surreali, o compaiono scritte giapponesi tratte chissà da dove. Insomma, la casualità regna totale per tutta l’esperienza videoludica.
Ma è proprio ora che cominciamo a percepire qualcosa che non va’, quell’inquietante mistero che ha diffuso LSD sul web e lo rende un’opera d’arte (non uso a caso tale termine): come nei sogni figure, azioni e parole apparentemente casuali nascondono in realtà un discorso razionale, anche in questo zibaldone di situazioni e atmosfere random sembra essere sottesa una logica…




  
Prova di quanto asserito è il grafico che compare al termine di ogni giornata, la cui spiegazione dei dati è ancora oggetto di discussioni e ipotesi; è comunemente assodato che i due estremi “Static” e “Dynamic” rappresentino la frequenza di passaggi da un luogo a un altro (d’ora in poi li chiamerò links), mentre gli estremi “Upper” e “Downer” la qualità dei sogni, ovvero se hanno prevalso atmosfere tetre o felici. Tuttavia vi è anche un’altra principale interpretazione, secondo la quale il grafico registra, più che i link e i luoghi, l’approccio del giocatore ad essi: se il giocatore mostra prediligerne sempre la stessa categoria (per esempio, si teletrasporta di continuo ma sempre e solo sbattendo contro i muri) o sceglie oggetti che più ricordano la normale quotidianità, allora è “Static”; “Upper” e “Downer” si riferirebbero allora ai nostri processi di scelta, se ci facciamo guidare più da discorsi razionali o da impulsi emotivi. Molto suggestive sono le implicazioni di tale ipotesi: il videogioco avrebbe allora una lunghissima serie di algoritmi capaci di analizzare la psiche di chi gioca, e man mano che noi andiamo avanti nei giorni e gli scenari si fanno sempre più ricchi e strani, il sogno che staremo vivendo non sarà altro che una mappatura inconscia della nostra mente.

Effettivamente, si può notare che il gioco piano piano si adatta alle nostre preferenze, riproponendo spesso elementi e posti che abbiamo mostrato amare in passato (sebbene essi non ritornino mai uguali), come anche è innegabile che molte cose hanno una propria simbologia.

«…l’uomo attraversa tra foreste di simboli
che gli lanciano occhiate familiari

[…] echi che a lungo e da lontano
tendono a un’unità profonda e oscura…»

                                      (Charles Baudealaire, “Corrispondenze”)

Un esempio che sfiora il visionario: nell’area della natura incontaminata, ci si può imbattere in un castello fiabesco fluttuante a mezz’aria, spesso accompagnato da un padre che tiene per mano la piccola figlia su un’isoletta staccata dal terreno, e sono entrambi evidenti simboli di innocenza, felicità, passato nostalgico; e, non appena si tenta di avvicinarsi ad essi, si solleva da un dirupo il gigantesco Abyss Demon (nome dato dagli “interpreti”), che teletrasporta immediatamente il giocatore in un’altra area. È un custode della purezza, un suo corruttore, o personifica la crescita e l’esperienza dolorosa? Ancora, le impressionanti texture fatte dall’infinita ripetizione di volto e parti del corpo in primo piano di una ragazza hanno per molti valore sessuale, o comunque corporeo e carnale, e spesso sono precedute o seguite da elementi terrificanti. 



Il mistero di LSD si infittisce. La presenza di associazioni segrete di significati tra i link indica un impianto generale più complesso del previsto; si raccontano misticamente, come nei sogni reali, delle esperienze passate, quindi una storia ben delineata. Il tema del ricordo e della memoria ha in effetti un ruolo chiave all’interno del gioco: dopo circa il decimo giorno, compare disponibile infatti un’ulteriore modalità nel menù iniziale, detta flash-back. In essa, il giocatore può ripercorrere aree già visitate nei sogni precedenti, tali e quali a com’erano la prima volta in cui vi è stato.

Si inserisce a tal proposito la figura fondamentale, la più misteriosa e inquietante di tutte, che predomina nelle numerose leggende riguardo LSD e ne è quasi diventato il simbolo: stiamo parlando del “Grey man”, o “Mysterious Gentleman”, un tipo completamente grigio con l’impermeabile scuro e le mani in tasca. L’angosciante Grey Man, spuntando improvvisamente dal nulla, corre verso il giocatore come scivolando sul suolo, per poi sparire in un lampo di luce; l’unico effetto per ora attribuito con certezza al suo arrivo è l’impossibilità di ripercorrere nei flash back l’area in cui è apparso (quindi, nella simbologia del complesso, elimina o inibisce la memoria). Inoltre, è stata segnalata una certa involuzione della ricchezza degli scenari come seconda conseguenza.

Cosa possano celare allora questo losco individuo incolore e l’intreccio di sogni, passato e memorie,  simboli e collegamenti, se lo sono chiesto la stragrande maggioranza delle persone che hanno avuto contatti con questo videogioco e ne sono rimasti ammaliati: l’immedesimazione è tale che a lungo andare non si comprende più se si sta vivendo un sogno proprio o quello di un altro, o entrambi contemporaneamente. È proprio per questo venire incontro dell’opera, nell’immenso non detto che si percepisce poco a poco (le parole di Albert Camus, “scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto”, possono essere facilmente adattate al caso), che LSD sconfina nell’arte, diventando il più moderno rappresentante della corrente surrealista non ancora spenta (quella di autori come Fellini, Jodorowsky, DeLillo, per intenderci) e della filosofia del non, della negazione, del pensiero debole di Habermas e Vattimo.


Infatti, proprio come quando ci si trova davanti a un complesso quadro o film o libro, tutta l’attenzione e la curiosità del fruitore si concentrano sulla contemplazione, poi sul deciframento e sull’interpretazione; infine si intraprende la ricerca del senso generale del gioco. Il risultato finale è, all’insegna del prospettivismo e del relativismo, una moltitudine di interpretazioni diverse, di visioni e consapevolezze diverse, di sogni diversi! 
Su internet se ne possono trovare alcuni esempi: tra le principali versioni, non necessariamente contrastanti o esclusive (infatti, quasi tutte concordano che il protagonista sia una ragazza), vi è una secondo la quale il contesto sarebbe, considerata l'insistita presenza di ufo e navicelle spaziali negli ambienti e nei video, nonché tutte le strane facce gialle ricorrenti in copertina e menù iniziale,  un rapimento atto da degli alieni e i loro conseguenti studi sul sonno. Un'altra è più semplicistica e minimale: il gioco non rappresenta altro che un “giornale dei sogni” scritto da una ragazza, e si dà  persino il suo nome, Osamu Satu (che corrisponde al nome del produttore del gioco).



  
Questa trama tuttavia è aderente alla realtà: curiosando un po’ su internet, infatti, si scopre che LSD raprresenta solo una parte di un progetto più ampio, basato su un diario dei sogni che una dipendente della casa costruttrice, tale Hiroko Nishikawa, aveva effettivamente tenuto. Nel progetto rientravano anche un cd musicale, “LSD And Remixes” (ecco qui il link se lo si vuole ascoltare: http://www.youtube.com/watch?v=B4hAGXBQyb8 ), e la pubblicazione del giornale stesso, col titolo “Lovely Sweet Dream” (ecco il link per un sito dove sono riportate alcune pagine: http://lovelysweetdream.tumblr.com/ ). Ovviamente, non mancano le creepypasta: si dice infatti che la ragazza protagonista del gioco è in realtà stata violentata, il Mysterious Gentleman è lo stupratore, e l’intero gioco è una richiesta d’aiuto; vi sono accanto testimonianze (sottolineiamo, senza alcuna prova) di giocatori giunti in stage pieni di immagini violente o davanti a scritte d’aiuto, o di altri che da quando giocano che non riescono più a compiere sogni reali... ( http://creepypasta.forumcommunity.net/?t=51306219 )















Qualunque sia l’ipotesi esatta, semmai ci sia, resta il fascino di un vero e proprio capolavoro, e un preciso monito: l’arte cosiddetta alta non trascuri o sottovaluti il mondo videoludico! Nell’ambito del cinema i confini sono già stati valicati, sempre più spesso i film riprendono trame o schemi tipici dei videogame, senza parlare degli ormai numerosi titoli di videogame che hanno un vero e proprio impianto cinematografico, come per esempio quelli di Hideo Kojima (“Metal Gear”, “Snatcher”), il bizzarro “Linger in Shadows” e vari altri. Subiranno anche la letteratura, la musica, la pittura, la stessa influenza? Può darsi anche che il cambiamento stia già avvenendo, ma troppo di soppiatto per rendersene conto; non solo è difficile trovare una risposta a tali domande, ma anche comincia a emergere ben vivo l’interrogativo su cosa coinvolga effettivamente di più tra un buon libro e un buon videogioco, quale dei due riesce a trasmettere meglio messaggi e emozioni.
(Link per chi vuole ancora più approfondimenti: http://dreamemulator.wikia.com/wiki/LSD:_Dream_Emulator_Wiki )




venerdì, aprile 26, 2013

Ore 12 - Enya, la Signora dei Sogni

17 Maggio, 1961.

Ecco la data di nascita della Signora dei sogni. Lei è la donna irlandese più famosa nel mondo, colei che ha incantato milioni di persone con la sua voce e i suoi echi armonici, colei che riuscirebbe a calmare i neonati più irrequieti con una sola canzone.

Eithne Ní Bhraonáin, così si chiama, ma per ragioni di praticità (e parlo anche per esperienza personale: a parte pochissime parole prestate da altre lingue, il gaelico non ha proprio niente a cui vedere con le altre lingue indoeuropee; è già tanto che abbia adottato l'alfabeto latino, altrimenti si scriverebbe ancora con le rune) ha scelto lo pseudonimo di ENYA. Un nome insolito, atipico, che solo a sentirlo evoca atmosfere misteriose e sognatrici, e non a torto: lo stile dei suoi brani, ricchissimi di vocalizzi e di sovrapposizioni, lasciano enorme spazio all'immaginazione, alla calma, alla pacatezza, ai sogni. A differenza di altri artisti suoi contemporanei, Enya ha sempre preferito una vita lontana dai riflettori, senza strafare, senza scandali o foto imbarazzanti. La voce di un angelo, la reputazione di una santa, la fama di una dea. Questa è Enya. Ed ecco la storia del suo cristallino talento.


Sono passati quasi 52 anni da quando, nella città di Gaoth Dobhair (Contea di Donegal, estremo nord dell'Irlanda), è nata l'artista di cui l'Irlanda può andare più orgogliosa. A Gweedore Enya assorbe tutte quelle influenze celtiche, gaeliche e cristiane che faranno poi parte del suo inimitabile stile etereo; per di più, i suoi genitori e i suoi nonni erano musicisti affermati localmente, ed Enya finisce per cantare e suonare nella band di famiglia, i Clannad, fondati nel 1970. L'artista lascerà i Clann As Dobhair nel 1981, anno in cui viene pubblicato l'unico album della band a contenere brani da lei cantata come voce solista. E già da qui si intravede tutto il potenziale della giovane 20enne del Donegal. Ecco An tUll!

                               Enya - An tUll
Per Enya la porta verso il successo comincia ad aprirsi, seppur lentamente, nel 1986, quando l'emittente inglese BBC affida a lei la produzione della colonna sonora della serie TV The Celts, interamente contenuta, in seguito, nel suo album d'esordio, chiamato semplicemente Enya. L'anno successivo sarà quello della collaborazione (unica finora) con l'altra stella irlandese Sinéad O'Connor, che darà alla luce il brano Never Get Old, dove lei si limita solo a recitare i versi della canzone, senza cantarli. Dopo questo breve incontro, Enya manterrà sempre un basso profilo nella vita privata, mentre Sinéad finirà più volte nei tabloid per i suoi atteggiamenti un po' troppo bizzarri e irriverenti - arrivando anche a strappare in diretta sulla CBS una foto di Papa Giovanni Paolo II, con annesse polemiche violente. Ancora un altro giro attorno al Sole, ed ecco che nel 1988 Enya vola nelle classifiche di mezzo mondo con Watermark, l'album che segna l'inizio della collaborazione con il suo paroliere di fiducia, Roma Ryan. Le parole della cantante indicano anche il suo stupore per così tanto successo:

 "The success of Watermark surprised me. I never thought of music as something commercial; it was something very personal to me. Watermark has in its theme searching, longing, of reaching out for an answer. The ocean is a central image: it is the symbolism of a great journey, which is the way I would describe this album." 


 
Enya - Storms In Africa
I brani più conosciuti di questa raccolta sono indubbiamente Storms In Africa e Orinoco Flow (Sail Away). Due brani ineccepibili, che segnano il corso stilistico di Enya. È un lavoro sapiente e minuzioso: la cantante registra da sola tutte le voce, e durante il montaggio le sovrappone per ottenere quegli echi melodiosi che sembrano provenire da un'altra dimensione, quasi da sogno. Riecco quindi questi due capolavori.
 
Enya - Orinoco Flow (Sail Away)

Enya passa quasi tre anni in studio per registrare il suo album successivo, dal titolo Shepherd Moons. Se il disco che conteneva Orinoco Flow l'ha fatta conoscere al mondo, con questo nuovo lavoro Enya spopola definitivamente, dalla Nuova Zelanda, all'Europa agli Stati Uniti, al punto che l'album rimane per ben 199 settimane di fila nelle classifiche musicali americane. 199 settimane sono praticamente 4 anni, roba che i cantanti di oggi se la sognano la notte. 

 
Enya - Caribbean Blue

 
Le sue canzoni sono usate ovunque: film, pubblicità, sottofondi nei negozi, persino nei momenti di attesa ai numeri verdi. In particolare, la più apprezzata è Caribbean Blue, ma nel repertorio non mancano omaggi alla tradizione cristiana (How Can I Keep From Singing? risale al 1868) ma anche al celtismo (Ebudae - le isole Ebridi in lingua latina - e Lothlórien, che si ispira ai romanzi di J.R.R. Tolkien...cosa che in seguito la legherà ancora più strettamente al creatore de Il Signore Degli Anelli). Il successo gigantesco di Shepherd Moons spinge Enya e il suo staff a ri-pubblicare la soundtrack composta qualche anno prima per la BBC, sotto il titolo The Celts, nel 1992, rendendo anch'esso capace di vendere 6 milioni di copie nel mondo.

Enya - Lothlòrien

Shepherd Moons è valso a Enya il suo primo Grammy Award. Alla fine del 1995 pubblica The Memory Of Trees, album che gliene farà vincere anche un altro, questa volta come "miglior album New Age". A dire la verità Enya non si è mai dichiarata una seguace del movimento sorto a fine millennio, per cui definire tale la sua musica è riduttivo e anche un po' irrispettoso di tutto il suo bagaglio di tradizioni, culture ed influenze. Ad ogni modo, The Memory Of Trees se la cava piuttosto bene, senza competere con i suoi due predecessori per vendite, ma aumenta ulteriormente il suo stuolo di ammiratori. Quest'album segna la definitiva maturazione della cantante irlandese, che si destreggia egregiamente tra brani in diverse lingue (inglese, spagnolo, gaelico, latino) che trattano di temi legati alla vita e alla spiritualità, spesso accompagnati da video ugualmente suggestivi.
                                     
 
 Enya - Anywhere Is

 
 Enya - On My Way Home

Nel 1997, per celebrare i primi 10 anni di carriera, Enya pubblica la compilation Paint The Sky With Stars, che raccoglie brani dai suoi tre album precedenti. Sempre in quell'anno, le viene proposto di lavorare alle melodie del film Titanic, tuttavia declina la richiesta, e si dedica alla composizione di quello che verrà rilasciato nel 2000 con il titolo A Day Without Rain. Ad oggi, questo CD è il 16° più venduto dell'intero decennio 2000-2009, con oltre 15 milioni di copie, soprattutto grazie all'effetto trascinatore di Only Time, inserito nella colonna sonora del film Sweet November e massicciamente usato (come accaduto anche a Caribbean Blue), anche in occasione degli attentati dell'11/9, in aggiunta a May It Be, universalmente famosa per la sua presenza nel film Il Signore Degli Anelli; alla fine Enya ce l'ha fatta, e il suo omaggio agli scritti di Tolkien le è fruttato un brano magistrale nella colonna sonora del film. 

Enya - Only Time


 

Enya - May It Be (Lord Of The Rings OST)


Dopo altri cinque anni di pausa, Enya rilascia Amarantine. Per certi versi porta un po' di aria nuova, se così si può definire, nell'impostazione dei brani. Le parti esclusivamente strumentali sono, in quest'album, meno presenti che negli altri; inoltre Enya si cimenta con il giapponese (Sumiregusa, ispirata ad un haiku del poeta giapponese Basho) e, in ben tre brani, con una lingua inventata dal suo collaboratore, il Loxiano, che si rifà alla lingua elfica di Tolkien. Decisamente buone anche le vendite e le recensioni, che premiano le novità apportate, e confermando l'apprezzamento per il classico stile sobrio e impeccabile di Enya. La title track Amarantine e il brano It's In The Rain sono esemplari di tutto il resto del CD. Buon ascolto! 

Enya - Amarantine

 
Enya - It's In The Rain

Per logica, chi se non Enya poteva incidere anche un disco di brani ispirati all'inverno ed al Natale? Nel 2008, la cantante di Gweedore rilascia And Winter Came..., con una copertina che la raffigura vestita di bianco, accanto ad un cavallo bianco, su uno sfondo innevato. È il disco in cui, secondo me, Enya riesce ad esaltare maggiormente il suo talento, rendendo sublimi brani come White Is In The Winter Night, Last Time By Moonlight e My! My! Time Flies!. In particolare, mentre i primi due esprimono abbastanza bene l'atmosfera allegra (ma anche solenne) che si respira durante la fine di Dicembre, il terzo è un brano più movimentato, che fa uso (moderato, ovviamente) anche della chitarra elettrica, e mostra che Enya se la cava alla grande anche quando si tratta di dare un po' di ritmo alla sua musica. Tutti e tre da ascoltare, ovviamente. E per chi ne volesse sapere di più, annuncio che Enya è al lavoro da inizio 2012 sul suo prossimo disco di inediti. La data di pubblicazione è ignota, ma non dovrebbe mancare molto ormai, anche se i suoi fan hanno a disposizione un repertorio sterminato da ascoltare.    



Enya - White Is In The Winter Night

 
Enya - Last Time By Moonlight


  Enya - My! My! Time Flies!

In definitiva, Enya è la regina, la Signora dei sogni. Per la sua voce dolce, il suo temperamento pacato e sensibile, per la sua musica che è capace di travalicare i confini della realtà e sfociare nel fantastico, nell'irreale e nel magico. Se c'è qualcuno che bisogna associare alla parola sogno, quella è lei. Enya. Di più, in questo mondo, non esiste (ancora).

giovedì, aprile 25, 2013

Walking On A Dream: il sogno verde degli Empire Of The Sun

Il sogno nella cultura POP può prendere le forme e le dimensioni più differenti. Può essere rappresentato dai colori, da posti inimmaginabili, da strane creature, da tesori nascosti, da incubi tanto reali quanto assurdi, da personaggi bizzarri, e da musiche talmente celestiali da sembrare venire da un altro pianeta.
Se fondiamo tutti questi elementi possiamo vivere un sogno rappresentato musicalmente da una delle band più alternative ma al tempo stesso pop degli ultimi anni.
Walking on a dream
How can I explain
Talking to myself
Will I see again
Gli Empire Of The Sun sono una band australiana che nel 2008 ci hanno accompagnato per la prima volta in un sogno che contiene tutto quello che ho citato prima, una dimensione tra la natura, il futuro e il passato.
Con costumi da imperatori di un regno a noi sconosciuto, un trucco che ricorda quello delle antiche popolazioni americane e aborigene, e una ambientazione tra natura intatta e città futuristiche, la band ha imposto il suo nome nel mondo elettronico come un qualcosa di mai visto, mai sentito, ma ispirato a tutto quello già visto ed ascoltato.
Vi chiederete come sia possibile conciliare il mai visto con il già visto. Con un sogno appunto.
Nei vostri sogni non vi capita mai di associare persone o fatti reali a situazioni a voi sconosciute?
We are always running for the thrill of it thrill of it
Always pushing up the hill searching for the thrill of it
On and on and on we are calling out and out again
Never looking down I'm just in awe of what's in front of me
Immaginate un imperatore proveniente dal futuro, che ha viaggiato attraverso le ere (Luke Steele), e il suo saltimbanco, un personaggio strambo e ispirato (Nick Littlemore).
I due percorrono il nostro mondo, e il nostro tempo, non si sa alla ricerca di cosa, ma probabilmente di una speranza, di una soluzione. A cosa?
Alla distruzione della natura e delle popolazioni, attraversano oceani e cieli, città e deserti, nei loro suggestivi video che tra la Cina e l'Australia e il Messico percorrono luoghi da preservare dalla mano dell'uomo, o luoghi dominati dall'uomo.




Si parte dalla splendida Shanghai, set di 'Walking On A Dream', in cui i nostri eccentrici eroi percorrono una città divisa tra vecchio e nuovo, tra tradizioni e progresso. Il brano ci parla di questo percorso nel sogno che andremo a vivere poi in tutto l'omonimo album, un cammino verso una meta, il mondo, che viene visto nel sogno come un qualcosa di perfetto, e nella realtà come qualcosa da salvare. I colori eccessivi e solari fanno da padroni nella prima parte del sogno.



Si continua in Messico, dove 'We Are The People' ci mostra la tradizionale Festa dei Morti, in un deserto dove il cammino dell'uomo si fa arduo, fino ad arrivare ad una cascata, fonte dell'acqua che è una delle soluzioni per salvare il nostro mondo, e quindi qui il nostro cammino dovrebbe farsi più semplice, ma l'uomo sta consumando questa fonte di vita, e quindi le metafore della morte, come visioni, appaiono ai due in questo deserto, apparentemente morti alla fine del video. I colori sono meno brillanti anche se ancora di mille sfumature.



Andiamo poi in Australia, l'oceano e le sue creature dominano 'Standing on the Shore', qui incontriamo strane creature che si sfidano per il dominio del mare, tra pesci umanizzati e cavalieri spaziali, andiamo via via abbandonando quindi il passato, per far sempre più spazio al futuro, e questo lo notiamo anche negli abiti sempre più spaziali del nostro imperatore, e nei colori sempre più sabbiosi e meno brillanti. La luce del mondo si sta spegnendo e il sogno di salvarlo si sta trasformando davvero in una guerra.



Il sogno parte dalla nostra mente, da un luogo chiuso, buio, e accessibile solo a noi, un luogo essenziale, e quindi in 'Without You' il nostro imperatore è solo in una camera, una gabbia di neon bianchi e di oggetti dello stesso colore, i protagonisti della natura questa volta sono solo un cavallo e un uccello. Una metafora del momento in cui il sogno si ferma e noi non sappiam più se siam desti o dormiamo. Una essenziale ricerca di noi stessi e di un aiuto, cercata da Steele nell'amore.
Molti dei brani di questo album usano l'amore come termini pur riferendosi ad altro, o ad altre forme d'amore, come quello appunto per la Terra.



C'è da dire che purtroppo il percorso di questo album si chiude con una 'sconfitta' per la natura, siamo a New York per 'Half Mast (Slight Return)', un ritorno dell'imperatore dalla sua amata, sotto la neve newyorkese, in ginocchio per chiederle un perdono. E tutto questo sulla riva del mare, con la città che si staglia dietro, in quell'ultimo angolo di natura, 'uccisa' dalla neve, e dalla globalizzazione.
Gli ultimi due brani cercano di salvare l'uomo, perchè non salvando se stesso non potrebbe aiutare neanche la Terra in cui vive.
Il sogno si ferma qui, apparentemente senza alcuna speranza, ma il 'ritorno' dell'ultimo video ci fa sperare in un risveglio in qualcosa di nuovo e di antico, come quando eravamo partiti.
Noi siamo le persone che governano il mondo, una energia viva in ognuno di noi, e solo unendo le nostre forze possiamo provare a salvare il mondo.
We are the people that rule the world
A force running in every boy and girl
All rejoicing in the world
Take me now... we can try
Il sogno può sembrare un qualcosa di immaginario, di colorato, di bizzarro, di irreale, di talmente pop da essere interessante per tutti ma serio per nessuno.
Ma se capissimo che camminare nel sogno significasse realizzarlo e combattere per attuarlo, tutti avremmo una meta più ricca di sfumature e di colori brillanti, che il sogno sia salvare il mondo o semplicemente noi stessi.
We lived an adventure
Love in the summer
Followed the sun till night
Reminiscing other times of life

 

mercoledì, aprile 24, 2013

Ore 12 - Traumerei: i Kinderszenen e il Sogno di Schumann


"Era un'eco delle parole che mi hai scritto una volta, che <<a volte ti sembro un bambino>> - in breve mi sentivo un fanciullo e ho scritto circa trenta coserelline spassose, ne ho scelte dodici e le ho chiamate Kinderszenen."

(scrive Robert Schumann alla moglie Clara Wieck, 1838)

Composti nel 1838, i Kinderszenen (in italiano Scene infantili) costituiscono una delle opere più celebri di Robert Schumann e, al tempo stesso, una delle più controverse. Sono in molti a definire questa raccolta di pezzi brevi una raccolta per bambini, come lo stesso Schumann affermò in un primo momento. Al tempo stesso, però, ci si chiede se tale opera possa essere, in realtà, sui bambini, ma fondamentalmente rivolta agli adulti. Clara Wieck, moglie del compositore e pianista lei stessa, aveva più volte sottolineato, nelle sue lettere, lo spirito "fanciullesco" del marito e pare siano state proprio tali epistole a ispirare la composizione dei Kinderszenen.

Tutti voi avrete ascoltato almeno una volta il Traumerei, il brano più celebre dei Kinderszenen. Ve lo riporto, eseguito dalla grande Martha Argerich:


Traumerei (in italiano Sogno) è un brano caratterizzato da un tema semplice, lineare, che rievoca la dolcezza della dimensione onirica e che, inserito in una raccolta dedicata all'infanzia, acquista la sfumatura delicata dell'innocenza, del sonno senza incubi di un bambino. I Kinderszenen, così come le altre due raccolte del 1838 (Kreisleriana  e Novelletten) costituiscono un "ciclo poetico", ovvero una delle opere nelle quali si esplica con più chiarezza il legame tra musica e poesia che caratterizza tutta la produzione schumanniana. Nel diario "domestico" scritto a quattro mani da Robert e Clara, il compositore scrive, nell'agosto del 1838:

"Suona qualche volta i miei Kreisleriana! In alcuni pezzi c'è un amore veramente folle e la tua vita e la mia e tanti dei tuoi sguardi. Le Kinderszenen sono l'opposto, soavi delicate e felici come il nostro futuro."

E' così che Schumann descrive le sue Scene infantili: come qualcosa di soave, di delicato e di felice. A quale altro elemento potremmo applicare questi attributi se non proprio al sogno? un sogno che affonda le sue radici nella pace domestica, in quel futuro sereno che Schumann prospettava per sé e per la sua famiglia e che, purtroppo, non ebbe mai: il celebre compositore, infatti, morì a quarantasei anni dopo aver tentato il suicidio ed essere stato internato in manicomio dalla stessa Clara. Tuttavia, malgrado il terribile destino che lo attendeva oltre la soglia dell'età adulta, nelle composizioni di Schumann possiamo trovare ancora il "bambino" che Clara vedeva in lui, l'affinità elettiva (per richiamare un autore che amò moltissimo: Goethe) tra musica e poesia, tra sogno e realtà, tra innocenza e maturità.