sabato, novembre 30, 2013

If you want my future, forgive my past.


"if you want my future, forget my past"

Cercavo ispirazione per scrivervi qualche riga per chiudere il mese di novembre, che abbiamo dedicato al passato, e nella mia mente risuonava questa frase di una canzone (Wannabe, Spice Girls), e riflettevo sul dimenticare il passato. Sarà perchè io non sono mai riuscito a farlo, ma il passato per me è una cosa che non va dimenticata. Vi sembrerà banale dire che siamo quello che siamo grazie a ciò che siamo stati in passato, ma è davvero così. Il passato, come vi abbiamo mostrato in questo mese, non è affatto una cosa da dimenticare. Che si trattasse di televisione, con i suoi spin off e remake, che si trattasse di musica con la nascita di generi musicali o di cover di pezzi del passato, che si trattasse di viaggi nel tempo o nello spazio attraverso libri e ricordi, il passato ha segnato quello che l'intera cultura di cui noi parliamo e che noi studiamo ci insegna. Non c'è una cosa nuova se non c'è stata una cosa vecchia. E' impossibile.
E' vero, non tutto ciò che è stato fatto nel passato è da ammirare o da emulare, ma non per questo da dimenticare. Anche la cosa più orrenda e dolorosa serve ad insegnarci qualcosa, magari a non ripeterla o rifarla. Per questo il concetto di dimenticare il passato per avere un futuro non mi piace.
Riflettevo ancora su quelle parole della canzone, è una lampadina si è accesa nella mia testolina infreddolita dal gelo di fine novembre. Preferisco perdonare (forgive) il passato, piuttosto che dimenticarlo (forget).
Il perdonare, in senso lato, dovrebbe appartenere a tutti, è più umano del dimenticare, e spesso non ne teniamo conto. Il bagaglio culture di chiunque incontriamo sul nostro cammino, è importante, e dobbiamo imparare ad apprezzare ciò che di positivo gli altri condividono con noi, e perdonare ciò che di negativo portano dentro di se, perchè infondo potreste innamorarvi di una persona oggi, per delle caratteristiche maturate in lui o in lei per gli errori fatti ieri.
Dobbiamo imparare dal passato, bello o brutto che sia, è il nostro tesoro, un bottino importante, che dobbiamo imparare a saper gestire, senza perderlo sul cammino che ci porterà al domani.

venerdì, novembre 29, 2013

Diva '90: Kylie e l'indie-dance.

Siamo giunti all'ultima tappa del nostro viaggio con le dive della musica anni '60-'90. Dopo Cher e il suo folk, Donna Summer e la sua disco, Madonna e il suo pop, è arrivato il momento di sbarcare negli anni '90, in Australia, dove una signorina bionda da un paio di anni stava dominando le chart. Kylie Minogue chiude gli anni '80 con i suoi primi due studio album, Kylie (1988) ed Enjoy Yourself (1989), con un pop dance fresco e martellante. Con il classicone The Loco-Motion e la mega hit I Should Be So Lucky conquista le vette delle chart, tra boccoli biondi e faccino pulito da ragazzina per bene. Got To Be Certain martella come tormentone pop fine anni '80 (ed è anche una delle mie preferite in assoluto), e la splendida Hand On Your Heart consacra Kylie tra il grande pubblico, restando uno dei suoi singoli più belli. Ma nonostante il mio amore per i primi due album, sono qui per parlarvi non di questa Kylie anni '80, ma di quella degli anni '90, quella che ha creato una dance che è stata copiata da tanti, tanti artisti nel decennio di cui vi parlerò oggi.

Rhythm Of Love (1990)
Negli anni '90 Kylie si affaccia con l'album Rhythm Of Love, fresco, dance, pop, disco, retrò ma moderno. E se c'è un brano che tutti hanno cantato e ballato nell'ormai lontano 1990 è senza dubbio Better The Devil You Know, uno splendido pezzo d'amore in salsa dance, perchè è meglio tenersi stretti in diavolo che già conosciamo, del quale sappiamo parare i difetti e di cui infondo siamo innamorati, nonostante tradimenti o colpi bassi, piuttosto che cadere nella trappola di un nuovo amore sulla strada del mistero. Il singolo conquista tutte le chart, e diventa uno dei pezzi più bollenti del decennio, con una dance moderna e di classe, che non vi fa restare un attimo fermi ma soprattutto che vi fa cantare il ritornello a squarciagola. Con la seconda traccia dell'album torniamo indietro alla disco music della nostra cara Donna, e infatti Step Back In Time è un pezzo che celebra il passato, persone e musicale. Un pezzo funky disco irresistibile, stile "Febbre del sabato sera". Stessa scia What Do I Have To Do, che però comincia sempre più ad indirizzarci ad una Kylie più sinuosa e maliziosa, il vero debutto di sexy-Kylie. Ormai lo avrete capito che io amo le ballate e i pezzi d'amore, e quindi The World Still Turns non può che essere tra le mie preferite, i ritmi si fanno più lenti rispetto alle precedenti, e si parla delle sensazioni dopo la fine di un amore, quando ormai si è metabolizzata la cosa, e ci si accorge che tutto attorno a noi ha continuato a scorrere e muoversi, e lo fa anche ora che non siamo più innamorati, il sole c'è ancora, le stelle anche, tutto è sempre come prima, a parte il cuore spezzato. Scendete in pista, il pezzo più pazzesco di questo album è arrivato: Shocked (più travolgente nella versione del singolo, il DNA Mix) è il pezzo dance per eccellenza di Kylie, potentissima, con una delle prime rappate in campo dance della storia, con il bridge della mitica Jazzi P. Chissà quante volte ho fatto saltare in aria i vicini con Shocked a tutto volume! La base di Things Can Only Get Better è interessante, una versione quasi futuristica di Shocked, con una tastiera in sottofondo che gli da però quel tocco anni '90, il testo poi la rende una vera motivation song.

Let's Get To It (1991)
Let's Get To It arriva nei negozi nel 1991, album più sofisticato del precedente, che segna il lato sensuale di Kylie dopo l'esplosione dance. Apre l'album infatti Word Is Out, un elegante pezzo dance, non esplosivo perchè più tendente al soul; sinceramente uno dei singoli di Kylie che non ascolto quasi mai. L'album carbura con la splendida Give Me Just A Little More Time, un misto tra dance, pop, funky e un gusto retrò che rende il pezzo unico e influenza il pop inglese di quegli anni (Everything Changes dei Take That sembra totalmente ispirato al pezzo di Kylie, persino nel video). BRRRRR! Molto "made in USA" Too Much Of A Good Thing, che ci mostra una Kylie sempre più r'n'b, genere totalmente snobbato in Europa quegli anni ma nel suo momento d'oro negli Stati Uniti. Vi riporto sempre in Europa e in UK perchè Kylie pur essendo australiana domina le chart europee dalla fine degli anni '80 ai primi anni '90, per poi tornare indiscussa regina pop del vecchio continente degli anni 2000, diventanto inglese di adozione, come lei stessa ama definirsi. Il capolavoro è arrivato: Finer Feelings è uno dei pezzi storici di Kylie, che la introduce in quello che sarà la sua indie-dance, ovvero una dance lontana da quella dei dj e delle popstar, più dark e sensuale, sempre elegante e mai fuori dalle righe del buon gusto. Il singolo in questione, noto soprattutto nella versione remix di Brothers In Rhythm, è cupo, elegante, una ballata malinconica su note dance avvolgenti e calde. Il pezzo non esplode nei suoni ma nelle sensazioni, che portano Kylie a parlare di sesso per la prima volta, o almeno esplicitamente per la prima volta. Questa Kylie ritornerà più tardi, in veste ufficiale. Kylie si affaccia persino al soul con questo album, con la splendida ballad If You Were With Me Now, in duetto con Keith Washington. Restando sulle ballad devo segnalarvi la delicata No World Without You, il primo pezzo totalmente acustico inciso da Kylie, solo voce e chitarra. Non preoccupatevi, torniamo a ballare con I Guess I Like It Like That, uno dei pezzi esplosivi dance di Kylie, con il quale vi immergerete in uno scenario da stadio e cheerleaders; Kylie continua con questa ondata r'n'b e infatti il brano è un campionamento di "I Like It Like That" delle Salt-N-Pepa. Il pezzo inoltre verrà ancora remixato con il titolo di Keep On Pumping It Up. E siccome amo la Kylie romantica e delicata, vi consiglio di ascoltare anche Say The Word - I'll Be There, l'ultima ballad dell'album, molto anni '80. Closer vi indica definitivamente che Kylie sta cambiando, e un pizzico di dark-indie-electro Kylie vi travolgerà e si riaffaccerà negli ultimi due album anni '90 di Kylie, di cui vi parlerò tra poco. La chiusura sappiatelo, vale tutto l'album! Do You Dare? infatti è un pezzo pazzesco, dance puro stile anni '90, che tutti copieranno da Kylie, specie in Europa. Energico, martellante, sexy, con un testo che imparerete in meno di 30 secondi, questa la chiave del successo di questo pezzo, il migliore dell'album.

Greatest Hits (1992)
Per il suo primo Greatest Hits Kylie torna in veste pop, con tre pezzi favolosi. Si parte con Celebration, cover dell'ononimo singolo del 1980 dei Kool & the Gang, pezzo che ha fatto la storia della musica, che con Kylie prende una veste quasi caraibica e sorprendentemente fresca. What Kind Of Fool (Heard All That Before) è per me l'esempio perfetto del vero pop anni '90, Kylie sempre più ammiccante e ribelle, seppure nuovamente in una veste fanciulla della porta accanto, una fanciulla che è finalmente cresciuta però. Liberatoria e radiofonicissima, la canzone riporta ai ritmi di Kylie tra '80 e '90, che sono forse tra i più belli. Una Kylie che si ribella alle bugie degli uomini e che sgambetta libera ed indipendente. L'ultimo inedito del GH è Where In The World?, molto anni '70, un mix tra pop malinconico e un tango senza tempo, che esplode in un ritornello che fa molto sigla tv del sabato sera (positivamente parlando giuro!).

Kylie Minogue (1994)
Lo so, vi avevo incuriosito con il titolo "indie-dance", e vi ho imboccato parlandovi di Finer Feelings e Closer. L'indie si sa, è di solito un ambito musicale di nicchia, spesso autoprodotto, o comunque non da grande classifica. Kylie infatti nel 1994 inizia un contratto discografico con una nuova etichetta, la Deconstruction Records, e il nome già vi può far capire qualcosa. Gli album con questa etichetta saranno solo due, e neanche di successo, risultando i meno venduti della carriera di Kylie, ma non per questo i meno belli. Anzi, saranno i due album più innovativi e copiati della cantante australiana, che prima ancora di Madonna e il suo Ray Of Light smonta i suoni pop/dance per portarli in una nuova dimensione. La Minogue di questi anni viene infatti definita da critici e fan Indie-Kylie. Nel 1994 vede la luce Kylie Minogue, il quinto album della cantante, che contiene uno dei singoli di maggior successo e di maggior importanza dell'intera carriera di Kylie. Confide in Me infatti, prodotta da Brothers in Rhythm (gli stessi del remix di Finer Feelings, ecco perchè quello era stato l'inizio di tutto), è uno struggente pezzo immerso tra pop, acustica, r&b, dance e un genere a me ignoto, ovvero il pop-barocco (suonato negli anni '60), un pop orchestrale cupo ed intenso. Il risultato finale? Futuristico, un mix di suoni che nessuno, e sottolineo nessuno, dopo Kylie e Confide In Me è stato capace di riproporre. Il brano diventa il simbolo di questa Kylie della seconda parte anni '90, e diventa il pezzo per eccellenza dell'Indie-Kylie. Meraviglioso. Se volete un brano suadente su cui spogliarvi davanti al vostro partner Surrender è la colonna sonora perfetta. La nuova Kylie sussurra e vi fa respirare sesso. Non avevamo mai incontrato una Kylie più rock durante il nostro cammino, ed è per questo che dovete ascoltarla in questa veste funky-rock in If I Was Your Lover. Il remix spesso ha la funzione solo di riempire il cd singolo, o di diffondere il pezzo in discoteche e locali notturni. In Kylie spesso assume invece il ruolo di versione ufficiale del singolo, stravolgendo il pezzo che ascoltate nell'album. Where Is The Feeling? nella sua versione album è un pezzo carino, dance, moderato, elegante, ma nella versione ufficiale del singolo, ovvero il Brothers In Rhythm Dolphin Mix, il pezzo cambia totalmente sound. Vi sembrerà di essere in acqua, sommersi dalle onde, di tornare in superficie a fatica, di ansimare, di fare sesso in mare con un misterioso fustacchione che verrà a salvarvi dai pericoli dell'abisso, come Kylie nel video. La freschezza si è persa, e si torna al cupo pop barocco e il synth pop di Confide In Me, anche se la potenze e l'energia del predecessore sono inarrivabili. Devo ammetterlo, per anni ho odiato questo pezzo e lo saltavo sempre, ma negli ultimi mesi Put Yourself In My Place è diventata una delle mie canzoni preferite. Una ballata dal futuro potremmo definirla, per i suoi toni lenti ma spaziali. E' così triste scoprire che la persona che si amava ama qualcun altro, e se anche noi ormai siamo felici ed abbiamo la nostra vita, senza dubbio la cosa ci lascia un po' di senso di vuoto. No, sinceramente io non l'ho mai provato, perchè la persona che amo è l'unica che abbia mai amato nella mia vita, ma capisco quel senso di spaesamento quando qualcuno che prima era sempre con noi ora ha la sua vita lontano da noi. Eleganti, da club soda  e martini, si quelli con l'oliva, da film e club privè, sono Dangerous Game, Aston Martin e Automatic Love, canzoni sospese senza tempo. Sinceramente solo l'ultima è di mio gradimento, più suadente e avvolgente nel suono, di quelle canzoni che ti fanno volare in un altro posto quando chiudi gli occhi. Falling è una grower, uno di quei pezzi che salgono con gli ascolti, molto anni '90, da locale con candele e luci strane, quei posti che si vedono nelle serie tv degli anni '90, da sabato sera di tendenza. Nothing Can Stop Us è una splendida canzone anni '60, totalmente fuori dal contesto dell'album, ma adorabile per questo. La voce di Kylie si sdoppia, mentre parla la sua stessa voce sussurra la canzone in sottofondo. Piano e voce per un pezzo che mi fa piangere ogni volta, If You Don't Love Me, e mentre l'ascolto fisso lo schermo perchè non ci sono parole adatte a descrivere l'emozione di una canzone che ti fa piangere, senza nessun particolare motivo.

Impossible Princess (1997)
Una menzione a parte merita Where The Wild Roses Grow (1995), singolo di Nick Cave, re del rock drammatico, con la collaborazione della soave voce di Kylie. Una delle fan favourite, e senza dubbio delle mie preferite, un pezzo drammatico, che parla della morte della protagonista per mano del suo amato, ulteriore passo di Kylie verso questa nuova dimensione musicale. Nel 1997 Impossible Princess approda nei negozi, segnando il ritorno di Indie-Kylie. Too Far non ha nulla di orecchiabile ma incolla l'ascoltatore che resta ipnotizzato dal brano, eseguito in seguito magistralmente dal vivo da Kylie con dei giochi vocali pazzeschi. Il far west in versione sexy dance lo avevate mai attraversato? Beh, ci pensa Kylie con Cowboy Style. La performance del pezzo durante l'Intimate & Live (diventata poi video ufficiale del singolo), segna l'inizio dell'immaginario omoerotico che circonda Kylie dagli anni 2000 in poi. Infatti seppur i brani di Kylie siam sempre stati gay-friendly per il sound, la sua immagine viene consacrata tale con l'esibizione di questo pezzo, durante il quale i ballerini sono due cowboy decisamente poco vestiti e decisamente poco etero, infondo, nell'immaginario omosex di tutti i cowboy sono una fantasia erotica. Country rock per Some Kind Of Bliss, altro pezzo che mi ha conquistato con gli anni, perchè decisamente lontano dal classico sound della Minogue; i due album indie hanno infatti aperto il panorama musicale di Kylie a nuovi generi, come dimostra questo singolo. Did It Again è il pezzo più radiofonico dell'album, ma restando sempre nella sfera indie-rock. Divertente il video che vede le varie Kylie del passato darsele di santa ragione, con la consacrazione nel video stesso del nomignolo di Indie-Kylie. Kylie infatti è sempre stata autoironica, e questo video lo dimostra. Sospesi in una atmosfera ultraterrena con la delicata Breathe, quasi la rinascita spirituale di Kylie. Immergetevi in una potente atmosfera di dance spirituale con Limbo, in cui i vostri pensieri cominceranno ad accavallarsi e vi faranno girare vorticosamente senza capire dove siete. Dreams, vera perla dell'album, e dal cui testo è ispirato il titolo dell'album, (these are the dreams of an impossible princess), parla di tutte le cose impossibili da realizzare e di quelle possibili ma irraggiungibili comunque per Kylie in quel momento della sua vita. Sia l'album che la canzone si ispirano a Poems to Break the Hearts of Impossible Princesses (Billy Childish), libro che le aveva regalato Nick Cave e che per lei appunto rappresentava il suo stato attuale. Il percorso indie-dance continua sulle note di Tears, si rallenta sulle note quasi tribali di This Girl, e si perde nella giungla di nove minuti di Take Me With You, brani pubblicati in seguito, e non presenti nell'edizione originale dell'album. La copertina di Impossible Princess, realizzata anche in versione 3D per simboleggiare le 3 anime di Kylie raccontate, reca Kylie per la prima volta con i capelli corti, senza la sua famosa chioma bionda, e non riporta il nome dell'album, in omaggio a Lady Diana scomparsa in quelle settimane, per evitare, come deciso da Kylie, che la gente non gradisse la vista di quella "principessa impossibile", che nel cuore degli inglese può essere solo Diana.
Kylie tornerà in vetta alle chart nel 2000 con il suo vero ritorno disco-dance Light Years, introdurrà il pop futuristico con Fever (2001), tornerà al sound sensuale con Body Language (2003), sconfiggerà il cancro e tornerà nel 2007 a dettare tendenza con X, il primo vero album elettronico di un artista pop, che verrà copiato negli successivi da tutte le cantanti donne, e non solo, ma di certo non con lo stesso risultato. Nel 2010 Kylie torna al pop con Aphrodite e nel 2012 riarrangia i suoi maggiori successi in versione orchestrale nel sublime The Abbey Road Sessions.
Qualcuno la chiama l'anti-Madonna, per il suo fare elegante e sofisticato, altri la fatina del pop, io preferisco definire Kylie innovatrice, artista a 360 gradi, che sa sempre reinventarsi e reinventare la sua musica, che sa proporre sempre nuove versioni delle sue vecchie hit, che sa con dolcezza farti scappare un sorriso o una lacrima. Il 2014 arriverà il tredicesimo album di inediti della Minogue, sono pronto a ballarlo e a piangere sul dancefloor!

giovedì, novembre 28, 2013

La moda del passato: i 50 e i 60.

Ripensavo al passato, al nostro modo di essere e di apparire. Alla moda dei primi del Novecento, ai mitici anni 20' e alle grandi guerre. Sono approdata così agli anni Cinquanta e ai rivoluzionari Sessanta ed ho capito.
Ho capito che grazie a questi due decenni i grandi stilisti hanno creato ciò che siamo, ciò che indossiamo. Sono stati la base di un nuovo stile, più comodo per l'uomo, più esuberante per la donna. E allora ho deciso di parlarvi di loro.
A dettare legge in questo grande mondo è sempre stata la moda parigina, ma a partire dai Fifties incominciamo ad intravedere l'Italia e gli Stati Uniti. Nelle università americane si propaga l'uso dei jeans, un tessuto utilizzato dagli schiavi nell'Ottocento, blu scuro e resistente, grazie anche al successo de Il selvaggio di Marlon Brando. Mentre a Firenze, a Palazzo Pitti, si organizzano le prime sfilate a matrice italiana: le sorelle Fontana, Emilio Pucci, Carosa, Jole Veneziani, e nascono Missoni e Krizia, i pionieri del pret-à-porter.
Nella capitale francese Chanel (il mio grande amore) riapre le sue boutiques d'alta moda, lanciando ancora una volta i tailluers, le little black jacket e proponendo la scarpa senza tallone e con la punta in colore diverso. Coco è in contrasto con Dior, ritiene le sue creazioni troppo rigide, poco portabili, e per nulla funzionali alla vita di una donna.
Dior, d'altro canto, è un punto cardine della moda parigina, le sue collezioni dettano legge. Crea linee ispirate alle lettere d'alfabeto, come la H (ripresa dai ritratti di Anna Bolena), Y, A, gli abiti da sera sono rigorosamente lunghi sino ai piedi e nel 1957, anno della sua morte, lancia lo stile a sacco, nascondendo totalmente il punto vita. Ripreso dal successivo direttore creativo della maison, Yves Saint Laurent, che la modificherà per arrivare all'idea del modello a trapezio.
Contemporaneamente sulle spiagge vede la luce il Bikini, costume a due pezzi. L'idea è quella di avvicinarsi sempre più alla creazione di una moda semplice adatta per il tempo libero.

Nei Sixties tutto è accentuato. Siamo negli anni delle rivoluzioni giovanili, della prima musica diversa e più consapevole, il vero rock inizia a farsi sentire e le donne richiamano la loro indipendenza. In Francia Paco Rabanne stravolge con la sua linea metallica, senza cuciture, e molti altri stilisti si ispirano ai grandi artisti contemporanei e alla pop art, come Saint Laurent, nella sua collezione Mondrian.
Si diffonde la Beat Generation, nuovi stereotipi e modelli da seguire.
Le ragazze non si identificano più nelle grandi dive ma nelle modelle come Twiggy, Jean Shrimpton, Veruscka.
Anche l'Inghilterra si afferma nel mondo della moda, Mary Quant inventa la minigonna e successivamente gli autoreggenti sono sostituiti dai nuovissimi collant.
Da una parte sbaragliano i Beatles, con i loro pantaloni stretti e corti, le giacchette stile uniforme ottocentesca, e gli stivaletti alle caviglie, dall'altra, i più aggressivi Rolling Stone (amore eterno!), con camicie di satin, collane, bracciali e trucco.
I giovani prendono si identificano in questi nuovi personaggi da imitare e, per la prima volta dopo anni, gli uomini portano i capelli lunghi.
Con la guerra del Vietnam e il Maggio francese, i contestatori iniziano ad avere una loro divisa, per contrastare il mondo elitario: eskimo, sciarpe, jeans strappati, scarpe da tennis, maglioni enormi. Molti capi sono presi in prestito da uniformi militari, come il Montgomery, giacca chiusa da alamari, che appunto il generale Montgomery indossava sempre, o la t-shirt, inventata dalla marina militare americana come canottiera per i soldati.

Insomma la moda diventa un mix tra ciò che è utile e ciò che ci circonda. Non si tratta più solo di apparire, come un tempo, ma di trasmettere il proprio universo attraverso quello che si indossa. L'arte, la musica, la letteratura si fondono con l'abbigliamento. Vestire è anche creare. Vestire è anche reagire alle idee stantie.

Da questo momento anche la moda diventa un mezzo di comunicazione.

La moda che non passa di moda.

Quante volte le nostre mamme ci hanno detto che avevano un abito identico al nostro quando erano giovani? Ebbene si, ciò che fa tendenza alla fine ritorna sempre.

Andiamo per ordine allora e cerchiamo di capire cosa possiamo pescare dall’armadio della mamma e cosa è meglio lasciare lì sepolto tra gli scatoloni.

Si parla tanto di vintage ma questo non pregiudica che un abito di trent’anni fa sia bello solo perché “datato”.
Il termine vintage deriva dal francese antico “vendenge”, a sua volta derivante dal latino “vindēmia” che indicava i vini d'annata di pregio, ma ricordiamoci sempre che anche il miglior vino può inacetire.

Per abito di mode vintage si intende non tanto un capo utilizzato in passato quanto il valore che il capo ha acquisito nel tempo per le sue caratteristiche uniche e con gli elevati standard qualitativi, nonché per essere testimonianza dello stile di un'epoca passata e per aver segnato profondamente alcuni tratti iconici di un momento storico della moda, del costume, del design.

Quindi se vi trovate tra i mercatini di usato aguzzate la vista, non tutti sono affari.

Altri ritorni dal passato possiamo scovarli nella moda rivisitata, ossia nelle tendenze che la moda ripesca dal passato e reinserisce nelle nuove collezioni affiancandoli ad elementi moderni.
Un esempio? La giacca da collegiale. Mai come quest’anno infatti, girando tra le strade della città è stato facile imbattersi in queste felpe bicolore in perfetto stile da collage americano.
Altro ritorno è quello del camouflage, la stagione calda ci aveva avvertiti inserendo la fantasia mimetica sugli accessori ma è con l’arrivo del freddo che le passerelle sono state invase dal camouflage in tutte le salse ma non aspettatevi certo di vedere i pantaloni con tasconi di qualche anno fa perché questa volta gli anfibi sono accostati a mini-dress, camicie e pantaloni aderenti sui toni del tradizionale verde ma anche del anche del blu e del grigio per far risaltare la femminilità.

E restando in tema di fantasie come non citare le fantasie floreali, dove i fiori sui toni del rosa-rosso-pesca sono grandi e su sfondo nero, le fantasie animalier per le più audaci ma soprattutto il tartan, lo scozzese utilizzato sulla lana spessa e che tanto ci ricorda la moda d’altri tempi dai tipici toni rossi e verdi.

Quindi fashionisti per quest’inverno il consiglio è di controllare bene tutti gli scatoloni nell’armadio prima di correre a fare shopping.

mercoledì, novembre 27, 2013

Blog Nostalgia (pt 2): il cinema parla!


Nel Blog Nostalgia numero uno ho parlato di quella che viene considerata la sindrome dell’epoca d’oro; ovvero quell’errata concezione dell’uomo di idealizzare un dato periodo del passato ritenendo che sarebbe stato più felice a quel tempo piuttosto che nel proprio.
E va bene che magari rifugiarsi nell’idea di un passato idealizzato non sia il massimo per tutti noi comuni mortali, ma c’è una categoria di persone che possono permettersi questi “sogni” e tramutarli in realtà: i registi facendo i loro film.
Se poi questo regista ha la geniale idea di fare un film musicale, riempiendo di belle canzoni orecchiabili la pellicola , io sono ancora più contenta.

1952. inizio di quel decennio favoloso che ha incantato milioni di giovani di delle generazioni successive. Grease (anni settanta) parla delle vicende musicali dei ragazzi della Rydell school degli anni cinquanta. In Hairspray  Tracy, la cicciottella protagonista del musical canta alla mamma : “welcome to the 60’s”. Ma negli anni cinquanta, di che si parlava? Ma dei ruggenti anni venti!

1952: Stanley Donen e Gene Kelly girano quel capolavoro chiamato “Singing in the rain”.
La storia è presto detta: nella Hollywood degli anni venti Don Lockwood e Lina Lamont sono le stelle indiscusse del cinema muto; il pubblico li ama e, a parte la cotta non ricambiata di Lina per Don, tutto va bene.
I problemi iniziano quando ad Hollywood prende piede un’invenzione rivoluzionaria: introduzione del sonoro. Dato l’improvviso successo del sonoro, i produttori dei film di Don e Lina si propongono di fare un film tutto parlato “Il cavaliere spadaccino”.
Don Lockwood, ottimo ballerino, attore e cantante, non incontra grandi difficoltà; diversa questione per la sua partner Lina: “ Non sa muoversi, non sa cantare, non sa ballare: è multiforme.” Dice Don parlando di lei.
A nulla valgono i tentativi della logopedista perché Lina continuerà a dire: “daeeessi” invece di “dessi” e a commettere strafalcioni grammaticali da suicidio.
A nulla valgono i tentativi del povero fonico di farla parlare nel microfono: questo semplicissimo attrezzo di scena viene nascosto prima in una siepe, poi nel vestito della protagonista.
Se poi si aggiunge un errore di sincronizzazione durante l’anteprima è facile capire che il film sarà un enorme fiasco.
Salvano la situazione il migliore amico di Don, Cosmo Brown e la sua bella fidanzata, l’aspirante attrice Katy Selden, che propongono di trasformare il cavaliere spadaccino in un film musicale nel quale il personaggio di Lina verrà interamente doppiato da Katy.
Tutto quanto si concluderà con una serie di divertentissime scenette che porteranno al tanto atteso lieto fine.
Il film è diventato un cult del genere soprattutto per le sue canzoni tra cui spicca la famosissima “ Singing in the rain” cantata da Gene Kelly e “You are my lucky star” cantata da Debbie Reynolds, interprete di Katy. Canzoni e scene entrate nella storia del cinema che ripropongono una visone divertente e romantica di quella magica epoca di transizione in cui Hollywood e le sue star si trovano a dover cambiare il proprio essere. Un’epoca colorata e gioiosa dove anche nei momenti più tristi si può guardare l’orologio e cantare tutti insieme “Good Morning, good morning it’s great to stay up late”

Rassegna Bravòff: A qualcuno piace Fred.

“Guarda che luna, guarda che mare, da questa notte senza te dovrò restare, folle d'amore, vorrei morire, mentre la luna di lassù mi sta a guardare...”


Per chi non lo ha mai conosciuto, Fred Buscaglione ricorda il gangster americano, dal bicchiere facile, dall'aria furba, quasi “venuto fuori” da “Bulli e Pupe”, per chi invece lo ha potuto ammirare, sa che era un uomo semplice, con in mente sempre e solo Fatima.
Il 25 ottobre, al Teatro Bravò di Bari, ho avuto il piacere di assistere ad uno spettacolo su questo grande artista. “A qualcuno piace Fred” di Maurizio Pellegrini, insieme alla Chamber Swing Orchestra, è un ritratto del vero Ferdinando, di quello che non tutti hanno potuto scoprire, di un ragazzo con un sogno e un grande amore nel cuore, un uomo così lontano dal suo personaggio, un uomo quasi schiacciato da qualcosa che non era.
Pellegrini, in un'interpretazione magistrale, sembra davvero riportare in vita Buscaglione. La sua voce, il modo di porsi, di muoversi, di atteggiarsi. La somiglianza è davvero impressionante.

Dal primo suono di tromba sino all'ultimo ripercorriamo la sua vita, purtroppo breve. Fatta non solo di successi ma anche di difficoltà, di sogni infranti, di forza e tenacia. Dagli albori dritti sino alla morte prematura su quella Thunderbird rosa, la mattina del 3 febbraio 1960.
Ad accompagnarlo un'orchestra eccezionale che interagisce e contribuisce a rendere tutto più coinvolgente.
Fred e gli Asternovas, la sua storica band, riuniti ancora una volta.

Dalle serate in una Torino anni 30' comincia l'avventura di un Buscaglione ancora giovane e pieno di speranza, dalla vocalità graffiante e con un sound innovativo, ricco di importazioni americane.
E il suo voler di più lo porta ad intraprendere una lunga tournèe all'estero che però non frutta ancora il successo.
I veri capolavori nascono dopo l'incontro con Leo Chiosso, suo paroliere sino alla morte. Instaureranno un rapporto così intenso da trasferirsi nello stesso palazzo uno di fronte all'altro. E insieme creeranno il personaggio alla Clark Gable, con baffetti, cappello e gessato a doppiopetto che lo porterà all'apice. Il suo primo 78 giri per la casa discografica La Cetra, esce nel 1955 e contiene due canzoni: la famosa “Che bambola” e “Giacomino”.
Ma nel 1949 accade qualcosa di importante nella vita di Fred, un qualcosa che colpirà il suo vero animo da “bravo ragazzo”, l'incontro con Fatima, sua moglie. Lei scappa con lui, da acrobata inizia una nuova carriera da cantante, è sempre presente e sempre nel suo cuore, ma con l'arrivo della notorietà tutto si spezza. Fatima è gelosa, forse per la carriera del marito, o per la sua vita ricca di impegni, di film, di programmi, di concerti. Lo abbandona, lo lascia solo con se stesso.
Fred non sopporta la solitudine di quella camera dell'Hotel Rivoli di Roma, non sopporta il peso di dover essere qualcuno che non è, non sopporta il dolore, vorrebbe dimostrare a tutti chi è il vero Ferdinando e tornare a cantare con lei, a vivere con la sua Fatima.
“Guarda che luna” si inserisce all'interno del cambio di rotta del suo ultimo periodo.
La vita frenetica, l'alcool, i mille impegni, la musica, il cinema, la televisione, lo distraggono e lui quel giorno “proprio non lo vede quel camion” davanti a lui.
E ci lascia così presto, con ancora tante cose da raccontare, tante cose da cantare.

“Che notte!”, “Teresa”(il testo è tratto da un vero articolo su un giornale, un'altra idea innovativa di Leo), “Il Dritto di Chicago”, “Parlami d'amore Mariù”, “Eri piccola così”(con tanto di colpi di pistola), “Che bambola”, “Guarda che luna”, “A qualcuno piace Fred” (titolo dello spettacolo ma anche dell'ultimo film di Buscaglione, poi cambiato in “Noi duri”), sono alcuni dei capolavori che Maurizio Pellegrini ci offre.
Ci trasporta con passione in questo percorso, ci mostra i diversi lati della personalità dell'artista, il rapporto con i suoi amici, il suo cuore e la sua testa. Con ironia il nostro Fred ci racconta anche della sua morte, di quello che è stato e non ci potrà essere più.
Una rappresentazione davvero travolgente che merita di essere vista, anche solo per avvicinarci un po' ad un'artista, a mio parere, trascurato e alla stupenda forza di espressione che è il teatro.

“Delle curve mi compiaccio, sempre in quarta io me le faccio, bevo tutto senza ghiaccio e le bambole mi capiscono, a qualcuno piace Fred sì, cosa c'è, non vi va?"

lunedì, novembre 25, 2013

Swing When You're Wi...lliams!

Per quanto si possa stare a dissertare a lungo su chi sia la stella assoluta nel firmamento della musica, e su quanto siano cristallini certi talenti recenti o un po' meno, e su chi meriti davvero di essere ricordato, in un modo o nell'altro il paragone con il passato si fa sentire sempre.

E con il passato si devono misurare sia gli artisti che il pubblico. Del resto, siamo stati tutti bambini, e avremo sicuramente ascoltato (controvoglia o con piacere) i dischi dei nostri genitori: chi non ha mai avuto in casa uno stereo che emanava melodie di Frank Sinatra, Elvis Presley, Fabrizio De Andrè, Domenico Modugno, Aretha Franklin, Tina Turner o Tony Bennett? Certamente non pochi.
E chiunque abbia intrapreso una carriera nel mondo della musica, si sarà dovuto inevitabilmente scontrare con un gigante del passato (ce ne sono per tutti i gusti e generi, dopotutto). Se a loro, peraltro, molti artisti contemporanei si ispirano, un motivo ci sarà: il passato è un tesoro inestimabile, da tramandare senza "se" e senza "ma", a testimonianza di un periodo in cui si cantava senza lo specifico scopo di vendere il maggior numero di copie possibile, e senza l'intento di dare scandalo con testi o esibizioni live al limite della pornografia. Quei brani rimandano ad un mondo quasi incantato, fastoso, dove i miti della prima metà del XX secolo si davano appuntamento ad Hollywood, Roma e New York.

È a questo mondo che ripensa spesso anche un nome notissimo della musica inglese: Robbie Williams, che nella sua produzione musicale vanta ben due album swing, uno del 2001, Swing When You're Winning, e uno pubblicato questo mese, dal titolo Swings Both Ways. In un'intervista a Che Tempo Che Fa di sabato 23 Novembre 2013, lo stesso Williams ha raccontato della venerazione che aveva suo padre per un dollaro incorniciato e appeso in casa sua, firmato nientemeno che da Frank Sinatra. 
Anni e anni dopo, ha sentito di dover trasmettere a questa e alle generazioni sucessive un po' di questo patrimonio, e lo ha fatto in maniera impeccabile in entrambe le raccolte (nonostante in Swings Both Ways alcuni brani non siano del secolo scorso, ma opera di Robbie stesso).
Il risultato? Una sfilza di capolavori antichi e moderni, a cui spesso hanno contribuito voci come Michael Bublé, Rupert Everett, Lily Allen, Kelly Clarkson e Nicole Kidman. Ecco alcune di queste reinterpretazioni.

1) SOMETHING STUPID - con Nicole Kidman
Universalmente conosciuta, non penso ci siano parole adatte per descrivere il brano del 1967 cantato da Frank Sinatra e sua figlia Nancy. 34 anni dopo, Robbie e Nicole riportano alla luce i bei ricordi degli anni '60, ed è un successo mondiale.








 2) MACK THE KNIFE
Musica di Kurt Weill e testo di un grande poeta e regista teatrale come Bertolt Brecht, che la inserì nella celebre Opera Da Tre Soldi del 1928. Narra le gesta malvagie di Macheath, paragonato ad uno squalo e descritto mentre rapina, uccide e dà fuoco a qualsiasi cosa che gli si para davanti. Il brano ha riscosso così tanto successo da essere reinterpretato decine di volte negli anni a seguire da artisti come Louis Armstrong, Bing Crosby, Sting ed Ella Fitzgerald. Nel 2001 ci prova anche Robbie Williams, che regala al testo una pronuncia a tratti intrigante e sbarazzina.

3) DREAM A LITTLE DREAM OF ME - con Lily Allen
Originalmente composta intorno al 1931 da Fabian Andre, Wilbur Schwandt e Gus Kahn, la cover di maggior successo deve aspettare l'arrivo di Mama Cass Elliott (dei The Mamas & The Papas) nel 1968, con la sua voce limpida e soave. Per ricreare la stessa atmosfera a 45 anni di distanza, viene scelta la "meno angelica" Lily Allen, che dimostra comunque di avere un gran talento per lo swing.



4) PUTTIN' ON THE RITZ
In origine era un'espressione americana che indicava il modo di vestire estremamente sfarzoso e alla moda di certi benestanti, con riferimento al lusso degli hotel Ritz. Nel 1930, Irving Berling prese ispirazione da questo modo di dire per realizzare la punta di diamante dell'omonimo film-musical, capolista di tante riedizioni, tra cui la più importante nel 1946, dal titolo Blue Skies, con Bing Crosby e Fred Astaire. Le due versioni a confronto:



5) I WAN'NA BE LIKE YOU - con Olly Murs
Il 1967 vede l'esordio del film Disney Il Libro Della Giungla. Nella versione italiana, il brano è tradotto letteralmente: Voglio Essere Come Te, ed è cantata da Re Baloo, Mowgli e Baloo con aria spensierata e piuttosto allegra. Il duetto di Williams e Murs invece è straordinariamente energetico, vivace e regala quella sostanziosità che in un semplice film per bambini non è esattamente quello che serve. Un brano che acquista finalmente una dignità piena, anche se staccato dal suo contesto originale.


 

Se volete quindi apprezzare gli ultimi sforzi in questo campo di Mr. Williams, non vi resta che acquistare Swings Both Ways, che peraltro contiene anche brani inediti, come Go Gentle, dedicata alla figlia nata da poco, e Soda Pop, in collaborazione con Michael Bublé.
Enjoy!
 

Leggere è un'arte in via d'estinzione.

L’odore delle pagine, il loro fruscio, l’emozione di personalizzare i propri libri con frasi e segni, l’incessante voltare pagina per divorare il romanzo d’amore, il libro poliziesco, l’ultima avventura del tuo personaggio preferito… tutto questo non esiste più.  Sembra che la crisi abbia toccato anche la reale e intima funzione dei libri, arrivando a un punto in cui la dicitura “lettore forte” va bene quasi per tutti, basta che tu abbia letto 4 libri l’anno, non più 12 com’era prima. 

Avanza il collasso della lettura, avanza nelle scuole, nell’editoria; avanza perché non incuriosisce, non invoglia, perché è più facile “guardare” che “leggere”, quindi addio libri e benvenuta televisione, che oggi è considerata il principale mezzo di fruizione della cultura. I dati sulla lettura in Italia sono estremamente allarmanti; l'indifferenza dei politici e dell'opinione pubblica di fronte a questo dato lascia sconcertati: tutto sta andando allegramente alla deriva, perdendo competitività nelle severe sfide del mondo globalizzato, proprio quando studi economici attendibili attestano che indici di lettura e sviluppo economico vanno di pari passo. Non deve stupirci che lettura e ricchezza siano collegate, in un mondo dove la comunicazione e l’informazione rivestono un ruolo strategico, dove la scienza e la tecnica rivoluzionano continuamente le nostre esistenze, leggere e tenersi informati diventa una necessità vitale.
Ovviamente non si può relegare l’importanza della lettura al solo ambito economico, ai beni materiali, perché ci sono persone che se la cavano benissimo, sono produttive e soddisfatte anche senza essere dei lettori forti, ma la lettura ci serve soprattutto per vivere, non per sopravvivere. Ci rende più liberi, nutre lo spirito, perfeziona l'essere umano che siamo, ci consola nei momenti di sconforto, ci libera dagli eventuali affanni della solitudine, ci rende più coscienti e consapevoli, più creativi, meno soggetti a pregiudizi e condizionamenti, arricchisce le nostre esistenze; perché ogni libro, ogni volume possiede un’anima, che non è solo l’anima di chi l’ha scritto, ma è anche l’anima di chi l’ha letto, di chi ha vissuto, e sognato grazie ad esso, al piacere fisico e psichico di tenere fra le mani il libro che attendiamo di leggere da tutta la giornata, dopo lo stress lavorativo, lo sforzo di attenzione scolastico e tutti gli imprevisti che ci possono capitare.

Certo, i libri tascabili, gli e-book hanno avuto la loro influenza, ma non centrano niente, perché il rapporto ISTAT per “La produzione e la lettura di libri in Italia” del 2010/2011, conferma la recessione culturale degli italiani, delineando uno scenario agghiacciante, con numeri e statistiche che sembrano inverosimili. È evidente che in Italia si lavora poco per le iniziative culturali circa il gusto e il piacere di leggere, basta notare come soltanto in questi ultimi anni le biblioteche siano diventate accoglienti, moderne e attrezzate, in cui il lettore non si senta un ospite indesiderato, ma bisogna educare alla lettura, e bisogna partire dai più piccoli anche se difficilmente un bimbo diventerà un lettore se non vede l'esempio dei genitori, se nella sua casa non entrano libri e giornali, se la lettura extrascolastica viene considerata dai genitori un'inutile perdita di tempo, che danneggia il rendimento scolastico. Nel mondo contemporaneo, che privilegia l'azione e l'estroversione, leggere è considerata un'occupazione passiva,ma non è assolutamente così: leggere è un'attività faticosa, che richiede attenzione, partecipazione e capacità di riflessione. 

Credo che lettori si nasca, perché non si può imporre di leggere una poesia o della narrativa, altrimenti risulterebbe ancora più sgradevole, ma lettori si può anche diventare, migliorando le proprie propensioni culturali.  Per questo bisogna educare i bambini seguendo la prospettiva dell'impegno attivo, ma soprattutto facendo loro sperimentare che leggere non è noioso, bensì è fonte di piacere e di avventure.

domenica, novembre 24, 2013

Tutta un'altra musica.


Può un passato che non vuoi lasciare andare mostrarti alla fine il suo volto più beffardo?
"Tutta un’altra musica", che io amo ricordare con il suo titolo originale "Juliet, Naked", spoglio della banalità della traduzione, non è solo una storia sull’ossessione per un certo tipo di passato, ma è una storia in cui il passato stesso si fa presente e ti cambia la vita.
Annie e Duncan sono una coppia che odora di logoro e stantio. Vivono a Gooleness, sulla costa inglese, dove condividono una casa in cui il sentimento della condivisione sembra essere rimasto sull’uscio. In attesa. Annie è l’emblema della vita che va avanti, di come un sentimento possa nascere, svilupparsi e consolidarsi senza che però gli individui seguano esattamente lo stesso percorso. Annie vuole andare avanti con la sua vita. Vuole andare avanti col suo rapporto e allargare la famiglia. Duncan è invece legato, ossessionato per meglio dire, a un cantante che è sparito nel nulla ormai da anni, Tucker Crowe. Egli è un vero e proprio idolo, magnificato all’estremo anche grazie alla sua uscita di scena oltremodo misteriosa, per Duncan e uno sparuto gruppo di persone sparse in tutto il mondo, che sentono l’impellente necessità di ritrovarsi su un sito internet condividendo la loro passione per un cantante ormai scomparso dalle scene.
Ma l’occasione per i suoi instancabili fan è da manuale quando, senza preavviso alcuno, dal nulla sbuca fuori una versione mai ascoltata prima del suo album Juliet, ribattezzato Juliet, Naked. Nell’inarrestabile vortice frenetico che sconquassa le vite degli irriducibili fan di Crowe, Hornby opera una svolta della storia a dir poco geniale quando mette in contatto Annie e Tucker Crowe in persona.  
L’iniziale scambio di email prende la forma di un fluire d’intenti, di una condivisione emozionale che supera le distanze del computer. Supera le barriere di internet e il freddo insofferente dello schermo. E finisce per un unire. Unire e consolidare idee e parole che si perdono nell’etere. Unire due esistenze così diverse e distanti. E forse rivoltarsi contro la venerazione ossessiva di un fan innamorato più del suo idolo che della sua compagna. Forse.
Nick Hornby disegna con pazienza personaggi così veri da far paura. Così veri che alla fine non sai più se li hai letti o proprio incontrati. Disegna situazioni e relazioni con meccanismi narrativi che tengono il lettore incollato sino all’ultimissima parola dell’ultima riga dell’ultima pagina. Senza possibilità alcuna di togliere gli occhi dalla storia. I ritratti generazionali che scaturiscono dalle sue pagine sono tratteggiati senza ampollose descrizioni e resi con la crudeltà che è propria del reale.
Ecco che quindi la Annie che si sente ingabbiata nella sua stessa vita e cerca di cambiarla con tutta se stessa, Duncan che non rinuncia alle sue passioni adolescenziali e proprio non si lascia ingannare dagli hobby e dalla naturale piega che una vita dovrebbe accogliere dopo alcuni anni, e perfino Tucker, venerato da pochi e con un’esistenza tutt’altro che da Star in pensione vivono un poco, anche solo un poco in ognuno di noi. Si agitano e si mescolano nel correre delle nostre esistenze come se Hornby li avesse immaginati attingendo un po’ qua e un po’ là, lungo una strada affollata.
Ed è questo che amo di Hornby. La realtà dentro la fantasia. Come i suoi racconti si facciano specchio, a volte beffardo, a volte crudele, a volte perfetto in modo disarmante, del trascorrere della vita, coniugando passato e presente nell’economia d’intere esistenze. Senza servilismi, senza sconti e con coraggio. La vita, appunto, fatta romanzo.

La casa sopra i portici.

Molti di noi sono abituati a ridere in compagnia di Carlo Verdone e dei suoi film, specie chi come me è cresciuto con i suoi film e i suoi mille personaggi.
"La casa sopra i portici", invece vi farà emozionare e commuovere. No, non stiamo parlando di un film questa volta, ma della biografia della famiglia Verdone, scritta da Carlo ed interamente ambientata nella casa di famiglia, a cui il regista e i suoi fratelli hanno addio qualche anno fa, tra lacrime di nostalgia e emozioni passate ancora molto molto vive.
Un viaggio ricco di emozioni, ricordi e comicità, che si legge con una curiosità infinita dalla prima all'ultima pagina. L'ho letto in poche ore, forse perchè Verdone è da sempre il mio regista e attore preferito, forse perchè è stato un piacere leggere su carta tanti aneddoti che nel corso degli anni gli avevo sentito raccontare in tv, forse perchè è la storia di una famiglia ricca di racconti racchiusi in una casa, unica protagonista del libro. Un libro che vorresti non finisse mai, con una serie infinita di personaggi, tanto assurdi da sembrare inventati, ma la bellezza sta nel fatto che sono tutti reali. Indimenticabile la chicca sul bagno di Sordi, che riascolto sempre con piacere. Ho pianto sulle pagine che raccontano la morte di mamma Rossana. e con un po' di malinconia ho chiuso il libro, come se anche io avessi vissuto in quella casa, che alla fine Carlo deve lasciare. Scoprirete gli scherzi che Carlo faceva alla sua famiglia, conoscerete parenti che potreste accostare ai vostri, vedrete l'evoluzione di una famiglia nel corso dei decenni, leggerete di attori e registi del passato che hanno bussato alla porta di quella casa nelle circostanze più bizzarre.
Chiuso il libro pensi alla tua casa, alla tua famiglia, e al fatto che questo un giorno accadrà a tutti noi, e ognuno di noi avrà delle storie da raccontare.

giovedì, novembre 21, 2013

Diva '80: Madonna e il pop.

Madonna by Gary Heery (1983)
Siamo finalmente negli adorati anni '80, anni rivoluzionari per l'arte, per la televisione, per la moda, e senza dubbio per la musica. Tra sintetizzatori, bizzarre pettinature, spalline stratosferiche, paiettes ovunque e tanto tanto trucco, anche per i maschietti, negli anni '80 inizia il cammino del personaggio più eccentrico e camaleontico della musica.
Madonna non ha certo bisogno di presentazioni, di introduzioni, di descrizioni, Madonna non fa musica, Madonna è la musica, quella femminile per eccellenza, un po' Marilyn un po' Greta, un po' santa un po' peccatrice, un po' moderna un po' futuristica, un po' disco un po' rock.
Madonna firma il pop anni '80, quello che è sopravvissuto al decennio, perchè se in quei magici anni tanti hanno sfondato, tanti hanno fatto hit che ancora oggi molti conoscono, pochi sono sopravvissuti allo scadere dell'orologio nel 1989 e sono arrivati vincenti nel 1990.
Gli anni '90 hanno spazzato via tutto, o quasi, ma lei è rimasta, e ancora oggi è la regina.
Il pop anni '80 di Madonna è diverso da quello degli altri, è fresco, è divertente, è sentimentale, non ha sintetizzatori, è ammiccante senza essere eccessivo (beh si credetemi, c'era gente molto ma molto più bizzarra negli anni '80).
Madonna scrive, dirige, controlla, produce, tutto passa sotto il suo attentissimo occhio, è lei che decide, non la casa discografica.
Madonna / The First Album (1983)
Il debutto ufficiale nel 1982 con il suo primo singolo Everybody, pezzo synth pop, che nella sua semplicità definisce già tutto: le canzoni di Madonna saranno sempre uniche e particolari, non ricalcheranno mai i lavori degli altri. Quella che può sembrare un semplice pezzo pop non stanca mai, perchè anche nel suo essere ripetitivo è curato, non annoia, anzi cresce con gli ascolti. Nel 1983 Madonna/The First Album, l'album di debutto vede la luce, con pezzi irresistibilmente pop: c'è l'accattivante Burning Up che ha un arrangiamento quasi rock e ti ritrovi li a schioccare le dita e a fare l'air guitar; Lucky Star è il pezzo pop per eccellenza degli anni '80, ed è una splendida canzone d'amore dal sapore adolescenziale e quell'energia che solo un amore fresco sa darti, infondo, non cerchiamo tutti la nostra stella fortunata? Borderline è la prima ballad di Madonna, carina, leggera, ritmata, intensa, delicata, e anche un po' triste nel testo e malinconica nel sound, vi verrà di pensare al vostro primo amore; Holiday è la bomba dance, che modernizza il sound disco degli anni '70, la mia preferita dell'album, e una delle prime canzoni di Madonna di cui mi sono innamorato. Ain't No Big Deal è solo una demo, non è stata poi inclusa nell'album, e come a volte accade, è stato un errore, è il perfetto esempio delle sonorità che hanno aperto la strada al pop negli anni '80, è così accattivante e groovy, ma pur sempre così semplice, che vi farà sorridere la voglia incontenibile di ballarla.
Like A Virgin (1984)
Negli anni '80 si faceva musica e non si perdeva tempo, e si pubblicavano album quasi tutti gli anni (alle volte anche due volte all'anno). E così con ancora freschi gli ultimi singoli del primo album, esce Like A Virgin (1984), il secondo studio album di Madonna. Trainato dall'omonimo singolo, una vera bomba, la canzone più famosa degli anni '80, una delle canzoni più famose di sempre, quell'intro con il quale ogni adolescente di quel decennio iniziava a strillare, perchè quelle note potevano annunciare solo lei Madonna, che con Like A Virgin, il singolo appunto, inizia la sua rivoluzione sessuale, ammiccando sexy in un abito da sposa, e rotolandosi sul palco degli MTV Awards, cantando che alla fine essere vergini non è uno stato fisico, ma uno stato mentale. Madonna diverrà anche simbolo della donna potente, autonoma, ma che in fondo non sdegna doni e regali degli uomini, anche se nel corso degli anni dimostrerà di non aver bisogno di nessuno, perchè Madonna è la donna del nuovo millennio, quella che non ha bisogno di un uomo al suo fianco per fare qualcosa. Material Girl diventerà così una delle sue hit maggiori, Madonna è una nuova Marilyn ma senza le fragilità e le dipendenze dagli uomini. I pezzi pop-dance di Madonna saranno anche i più famosi, le hit più grandi, ma le sue ballad sono senza dubbio le canzoni più belle, e Love Don't Live Here Anymore, così sofferta, così triste, e quel violino, quella voce strozzata dall'emozione, ne sono la dimostrazione. Into The Groove devo ammettere che all'inizio non l'amavo, ma dopo aver visto “Cercasi Susan Disperatamente” (una delle prime incursioni di Madonna nel cinema) sono tornato a casa dalla rassegna cinematografica e ho ascoltato il pezzo per ore, poi per giorni, poi per settimane. Ho avuto una ossessione per questo brano tanto da averla sentita tipo cento volte in una settimana. E' un pezzo straordinario, per il suo dance così moderno, per quel fare accattivante del testo, che infondo parla d'amore anche questa volta, e ti viene di prendere la persona amata e farla ballare con te, ovunque, senza fare attenzione a chi ti circonda, a chi ti sta fissando, a chi sta ridendo di te, quello è il tuo momento di libertà, è il momento di ballare ed amare. Ebbene si, neanche Dress You Up all'inizio mi piaceva, l'ho riscoperta da poco, anche in questo caso per il testo: “senti il morbido tocco delle mie carezze, esse ti manterranno giovane, coprimi con i tuoi baci vellutati, creerò un look fatto apposta per te”. Ascoltando l'album vi farete cullare dalla soave Shoo-Bee-Doo, una ballad tanto delicata che quasi sembra distante dal resto dell'album, con il sassofono del bridge che vi dimostra che un prodotto pop può essere comunque di qualità. Stay sembra già avviarsi ai suoni fine anni '80 di Madonna, come se anticipasse brani di Like A Prayer (1989). Ho tenuta per ultima una canzone che porto nel mio cuore, e che dedico sempre al mio ragazzo, che per me è la sua canzone, rappresenta alla perfezione quello che io provo per lui, e quello che lui è per me; Angel è la canzone più riprodotta di Madonna sul mio iTunes, e penso che lo resterà per sempre...
True Blue (1986)
Se mi doveste chiedere però la mia canzone preferita di Madonna la mia scelta rimarrebbe appesa tra due brani di True Blue (1986), io davvero non riesco a scegliere. Papa Don't Preach mi fa piangere, mi fa arrabbiare, mi fa venir voglia di lottare, mi fa venir voglia di ragionare con la mia testa; è uno splendido brano che parla della lotta tra una ragazza e suo padre, perchè lei decide di andare a vivere con il suo ragazzo, da cui aspetta un bambino. Tutti, anche gli amici, le dicono di lasciar perdere, ma lei lotta, per il suo amore, per il suo ragazzo, per il suo bambino, per se stessa, e alla fine anche suo padre capisce che sua figlia è felice, e sta facendo il meglio per lei. Il sound del pezzo è senza dubbio l'arrangiamento migliore di Madonna, non è dance, non è pop, non è rock, ma l'incontro di questi generi ha creato questa perla. Beh si vi sembrerà che ho già scelto, ma come seconda alternativa ho La Isla Bonita, e io ho un vero debole per i pezzi pop latini vecchio stile, e questa canzone ha aperto la strada a molti artisti statunitensi ed europei verso la sperimentazione spanish. Ne vogliamo parlare dell'arrangiamento di questo brano? Romantico, sensuale, avvolgente... no, non posso scegliere tra le due canzoni, devono restare entrambe le mie preferite, non posso rinunciare a nessuna delle due. Con Open Your Heart torniamo ad un pezzo quasi adolescenziale per il testo d'amore così puro ed innocente, e un video sempre più sexy, che fa un ulteriore passo verso la definitiva svolta sessuale della Madonna anni '90, con quel ragazzetto che va a vedere uno show vietato agli adulti, e Madonna in calze a rete sul palco.
Dove eravamo sulla discussione ballad? Live To Tell è un pezzo carico di enfasi, di forza, di eleganza e di dolore, vi verrà voglia di cantare sofferenti il ritornello, e molti molti anni dopo, nel Confessions Tour (2006), apparirà crocifissa su una croce luminosa, con una corona di spine in testa, a cantare uno dei pezzi più intensi di una carriera di oltre trentanni. Se volete tornare a ballare vi aspettano Where's The Party ma soprattutto la mia adorata Spotlight, che riassume in 6 minuti il pop anni '80, che unisce un ritmo irresistibile ad un testo intelligente e autocelebrativo per chiunque l'ascolti.
Who's That Girl (1987)
Madonna ha partecipato a diverse colonne sonore negli '80, con Into The Groove, Gambler, e la dolcissima Crazy For You; nel 1987 così Madonna diventa protagonista del film e della colonna sonora di Who's That Girl. Vi devo confidare che la title-track non mi è mai piaciuta, la trovo monotona, non all'altezza del resto della produzione di Madonna, anche se, a quanto pare, sono uno dei pochi a cui non piace. Ma l'album contiene un pezzo che risolleva la mia opinione rispetto a questa parentesi musicale: Causing A Commotion è uno dei pezzi pop più frivoli, divertenti ed irresistibili di questo fine decennio, davvero esplosivo, la struttura ritmica del ritornello poi ti fa imparare la canzone a memoria al primo ascolto. Segue poi ancora una ballad, The Look of Love, forse una delle meno note, che però si fa notare per la base che la fa sembrare quasi una canzone d'amore caraibica.
Nel 2009 scrivevo per un piccolo magazine musicale online, nella sezione “album del passato”. Decisi di scrivere una recensione di Like A Prayer del 1989, un album che ho sempre amato, il mio preferito di Madonna. L'articolo ebbe abbastanza successo, ma il giornale chiuse qualche mese dopo, ma l'articolo rimase in rete, sul mio vecchio forum. Un ragazzo per caso si trovò li a la lesse, e la frase di chiusura dell'articolo gli rimase impressa, anche perchè io giocavo sempre su queste chiusure ad effetto: “Non fatevi confondere dal titolo… non è roba per ottusi puritani!”.
Quel ragazzo l'anno successivo è diventato il mio, e quando gli raccontai di aver scritto tempo primo una recensione dell'album mi rispose esattamente “Non fatevi confondere dal titolo… non è roba per ottusi puritani!”.
Like A Prayer (1989)
Il destino ci aveva fatto incontrare prima che ci incontrassimo, ma questo magari a voi non interessa, ma spiega il perchè un album che già adoravo è diventato il mio album. Si parte con Like A Prayer, il pezzo “pop-religioso” (per modo di dire!) più conosciuto della storia, segnando la controversia Madonna-religione cattolica che da allora è storia e ancora oggi fa discutere. Un pezzo ricco di energia, di sentimento, di amore, di passione, di forza, di libertà, di qualunque cosa un uomo in necessità abbia bisogno, un pezzo che ti solleva quando tutto attorno a te è crollato, una vera preghiera pop, che alla fine ti assolve e ti solleva. Express Yourself, come dice il titolo stesso, spinge chi l'ascolta ad esprimere se stessi, specie il pubblico femminile, che non ha bisogno di un uomo per essere a suo agio con ciò che è la propria natura, una evoluzione della material girl, che è cresciuta e che è finalmente consapevole del proprio potere intellettivo e si, sessuale. Till Death Do Us Part, oh, amo questa canzone, un pezzo pop martellante ma dal testo di una tristezza infinita, che racconta del matrimonio infranto tra Madonna e Sean Penn, che di certo non era il marito ideale, anzi, ma era il vero amore, che però poi si scopre non essere più corrisposto, e Madonna continua a cantare che lui non è più innamorato di lei, e questo le crea un dolore mentale e fisico. Si ho pianto a volte ascoltandola, ma ho pianto anche sulle note di Promise To Try, una delle ballad più belle e drammatiche di Madonna, che parla di sua madre, morta quando lei era bambina, e della volontà, necessità, di non dimenticarla, di non dimenticare quegli occhi che la guardavano con amore, quelle braccia che la stringevano, ed è molto difficile riuscire a trattenere tutti quei ricordi quando si è così piccoli, e crescendo si ha paura di dimenticare quasi tutto della persona che abbiamo perso. Asciughiamo un attimo le lacrime, perchè dopo piangeremo ancora, e cerchiamo di farci tornare il sorriso con Cherish, una deliziosa canzone d'amore, pop, estiva, che ti riempie il cuore di gioia. Madonna parla anche di suo padre in questo album, con un pezzo molto forte, Oh Father, in cui egli viene descritto come un padre cattivo ed insensibile, ma lei riesce a trovarne una giustificazione; anche lui non era stato un bambino felice, e anche lui aveva perso sua moglie. Però finalmente lei non è con lui, ed ora che lui è lontano lei sta finalmente bene. Una infanzia terribile, e l'amore può davvero far male anche quando sei grande, e Spanish Eyes è un ritorno alla preghiera d'apertura, un pianto per un amore ormai perso, e la voce quasi rotta dal pianto che implora aiuto, insieme alle sonorità spanish, rendono il pezzo davvero uno dei migliori della discografia di Madonna, e se fosse stato un singolo sarebbe stato il degno erede di La Isla Bonita. Non sono state incluse nell'album, ma Supernatural e Just Dream sono due ottimi pezzi che si spostano già verso il suono anni '90, e la seconda è davvero una canzone che avrebbe meritato spazio nel panorama musicale di quegli anni.
Gli anni '80 di Madonna sono stati, a mio parere, i migliori, è stato l'inizio di tutto, e la musica è sensazionale dalla prima all'ultima traccia, è tutto orecchiabile, con dei testi sempre intelligenti e mai banali, con le tematiche poi svolgerà nei decenni successivi, dalla rivoluzione sociale al femminismo, dalla religione alla famiglia, dall'amore per se stessi al rispetto per gli altri.
Se volete ballare, piangere e ribellarvi, beh, gli anni '80 e il pop di Madonna fanno davvero per voi.