martedì, giugno 03, 2014

Pier Paolo Pasolini - Eretico e visionario


“La mia è una visione apocalittica. Ma se accanto ad essa e all'angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare.”
                                     (Pier Paolo Pasolini)
                                                                                                         
Una visione apocalittica della realtà con qualche elemento di ottimismo, di disperata speranza è la visione di un rivoluzionario. È la visione di chi non si limita a constatare e criticare ciò che lo circonda, ma esce a lottare per cambiarlo e magari, perché no, migliorarlo.
Questa è, più attuale che mai, la visione di Pier Paolo Pasolini, il più grande intellettuale italiano del 900. È il pensiero di un uomo come gli altri, forse solo più riflessivo e visionario, che amava ferocemente la vita ma che odiava la realtà, quella realtà in cui viveva e da cui non è mai voluto scappare, ma in cui ha preferito rimanere perché non voleva evitarli i problemi, ma voleva viverli e risolverli. Una realtà di uomini tutti uguali, laici, conformisti, consumisti e sottomessi a una “cultura” edonistica schiava del potere.
Riflessivo e visionario perché, rispetto agli altri, osservava le cose in modo diverso, del tutto inspiegabile, le analizzava rinchiudendosi nel suo piccolo appartamento di Roma, amando sempre di più la solitudine, e riusciva ad individuarne la vera essenza, la vera natura. E queste rivelazioni, che talvolta prendevano le sembianze di vere e proprie profezie Pasolini le racchiudeva nei suoi versi, nelle sue poesie, brevi, violente e meravigliosamente silenziose rivoluzioni o nei suoi romanzi fin troppo realistici o nelle sue pellicole scandalose e censurate. Le sue erano ribellioni quotidiane, visioni di un uomo che capiva le cose prima ancora che succedessero e che cercava di raccontarle e spiegarle agli altri remando contro le prime pagine dei giornali falsamente democratici che lo massacravano per il suo desiderio di informare, ma anche di stupire e scandalizzare le persone, educarle a una vita spirituale, a una cultura umanistica, alla vera tolleranza e all’anticonformismo.
Pasolini voleva scandalizzare. Stupire e lasciare a bocca aperta. E ci riuscì molte volte, ci riuscì con la poesia Supplica a mia madre, con il romanzo Ragazzi di vita, per cui fu processato con l’accusa di aver scritto un romanzo dai contenuti osceni, infatti la storia trasporta il lettore nelle periferie di una Roma devastata dalla guerra e abitata da famiglie di sottoproletari, da avanzi di galera e vecchi ubriaconi e racconta la guerra per la sopravvivenza di una banda di ragazzi. A scandalizzare fu principalmente il riferimento presente nel libro alla prostituzione maschile, fenomeno abbastanza diffuso durante il dopoguerra ma sempre nascosto da una società governata dalla Chiesa. Inoltre Pasolini mise in risalto le radici degli abitanti delle periferie e quindi il dialetto romanesco per far conoscere alla massa le sottoculture e le minoranze linguistiche presenti nel paese, e questo fu un altro modo per inneggiare silenziosamente alla diversità.
Riuscì a far parlare di sé anche con 120 giorni di Sodoma o Salò, uno dei suoi film più famosi, ma anche semplicemente facendosi immortalare con dei ragazzini di periferia, o intervistando in Comizi d’amore i contadini delle campagne calabresi e siciliane, i meridionali troppo ignoranti, troppo poco evoluti per essere considerati.

Pasolini, rifacendosi al pensiero di Rimbaud, a cui ha sempre attribuito un valore immenso, concepiva la diversità come un’alta forma di protesta e ribellione al moralismo ipocrita e al conformismo borghese. E infatti è stata proprio questa la sua rivoluzione: l’opporsi agli ordini stabiliti dal potere, ad una mentalità chiusa e piena di preconcetti contro i diversi (all’epoca chiamati “invertiti”), non protestando con striscioni e bandiere rosse o inneggiando a una superficiale e troppo spesso falsa libertà, ma scrivendo in silenzio le sue poesie ed essendo semplicemente diverso, sentendosi libero da ogni verità assoluta, da valori acquisiti e soprattutto da una vita spaventosamente programmata da qualcun altro. E per farlo Pasolini si ritrovò solo molte volte e gli ci volle coraggio, senza dubbio, ma soprattutto un infinito amore per la vita, perché al contrario di ciò che dicevano quelli che lo accusavano di essere nostalgico di epoche mai esistite ed eccessivamente pessimista, amava vivere, ascoltare e sopra ogni cosa, come ognuno di noi, adorava essere compreso.

“Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi "diverso". Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo.”
                           
(P.P. Pasolini, Scritti corsari, 1974)
                     


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Oleh