sabato, luglio 12, 2014

Il giovane J.D.S.


Si narra che a un certo punto della sua vita, fece costruire una staccionata attorno alla propria abitazione, per tenere lontano chiunque tentasse un avvicinamento e se qualcuno poi si azzardava a oltrepassare il limite da lui imposto, lo attendeva col fucile aperto e col colpo in canna, sotto il portichetto.  Mi verrebbe da dire che per molti aspetti, fu sempre un uomo in fuga, ma se si guarda con attenzione, anche per lui si può individuare l’attimo in cui spezza l’accerchiamento, in cui prende coscienza del suo ultimo probabile respiro. Siamo nel novembre 1953, Cornish. Il nostro ha appena concesso una breve intervista, forse poco più che una continuazione di una chiacchierata, a una ragazza che frequenta il liceo Cleremont, con l’idea di riempire nulla più che la paginetta scolastica. Il pezzo, dopo varie vicissitudini, finisce invece sulla prima del giornale locale. Il tradimento, nella mente del nostro, è compiuto. Inizia così tutta la storià della staccionata, del fucile, della fuga dal mondo e tutto il resto. Per più di un anno, non si hanno più sue notizie. Rispetto troppo la sua persona e le sue scelte, per essere così scellerato da violentare la prigione che costruì attorno alla sua vita, quindi mi limiterò a menzionare le iniziali, J. D. S., scrittore. Nelle rarissime parole pubbliche rilasciate, mai tentò di nascondere l’amore per lo scrivere. Un amore quasi morboso, che finì per relegare in secondo piano tutto il resto. Ed è questo il suo modo di fuggire, la sua lunga traversata da sud a nord, con le infinite intemperie, gli abissi e i deserti lunghi migliaia di chilometri.
Sono sicuro che se continuassi a ciarlare della sua vita, il nostro scrittore non ne sarebbe affatto entusiasta, anzi. E allora farò parlare i suoi figli di carta e inchiostro. Sono due i filoni che suonano musiche adatte per capire il suo continuo correre lontano. Il primo è chiaramente il romanzo di punta, The Catcher in the Rye,  mentre la seconda è la piccola epopea della famiglia Glass.
Per l’intero finesettimana, in cui ci è permesso accompagnare il protagonista di The Catcher in the Rye, si sente Holden perennemente in bilico tra  partire e rimanere, tra la forza centripeta a cui, suo malgrado, è sottoposto verso la famiglia e l’abbandono della scuola, dei tipi alla Ackley o peggio alla Stradlater.  Ne parla con la sorella Phoebe, che tenta in tutti modi di farlo desistere e arriva fino a plasmarne in modo esplicito le linee distintive incontrando Sally:

“Possiamo fare così, domani mattina ce ne andiamo nel Massachusetts e nel Vermont, e tutto lì intorno, capisci? E’ bellissimo laggiù, è una meraviglia […] Andremo a stare in quei campeggi di casette di legno o un posto così finché non restiamo a corto di soldi. Poi, quando restiamo a corto, posso trovarmi un lavoro in qualche posto e possiamo vivere in qualche posto con un ruscello e tutto quanto, e dopo possiamo sposarci eccetera eccetera. Posso spaccare tutta la legna che ci occorre d’inverno eccetera eccetera.”

Ma la sua fuga - fuga dalla mediocrità, dai palloni gonfiati “che chiamano angeli i Lunt”, dall’obbligo degli ascensori per mettere il naso fuori di casa - la troverà solamente nello scrivere, o meglio nel raccontare. Nonostante infatti Holden alla fine del libro, accorgendosi di essersi sbilanciato troppo, cerchi di aggiustare il tiro suggerendo di non raccontare mai niente a nessuno se non si vuole sentire la mancanza di qualcuno, ormai l’assedio è infranto, l'accerchiamento che lo costringe tra le quattro pareti asfittiche è alle spalle. Sta fuggendo, sta raccontando!
Tutt’altro sentire è invece la famiglia Glass. Stiamo parlando di una serie di racconti sparsi, in cui nel corso degli anni, vengono presentati i sette figli di una famiglia che un tempo avremmo potuto definire borghese: non toglierò il gusto della ricerca, ma se qualcuno avesse bisogno di una rapida carrellata di questi baldi giovani la può trovare ad esempio nelle primissime pagine del racconto Raise High the Roof Beam, Carpenters.
In un breve episodio invece, intitolato A perfet day for a bananafish (che nella finzione letterale, in altri lidi, si scoprirà essere scritto da Baddy Glass) ad un certo punto Saymour, il più talentuoso dei fratelli Glass, racconta di un particolare tipo di pesce:

"Be', nuotano fino ad una grotta dove ci sono molte banane. Quando ci entrano sono pesci come tanti, ma appena entrati si comportano come maiali. Ho saputo che certi pescibanana mangiano anche settantotto banane. Naturalmente s'ingrassano troppo che non riescono più a uscire."


Ecco, in realtà, la schiera di questi giovani, alla continua ricerca di una soluzione, di una via di fuga, di una verità finale, pur trovandosi spesso in vorticoso movimento, rappresenta l’incarnazione stessa del pescebanana: sono troppo gonfi - chi di talento, chi di sapere, chi di altro - troppo gonfi appunto per tentare un qualsiasi tipo di fuga. Tanto che l’unica via di uscita sembra essere la morte volontaria, come per Saymour e forse anche per Buddy, o l'abbandono a Dio come per Franny.

Non è ancora possibile scolpire un giudizio definitivo, soprattutto perché fonti molto vicine alla famiglia (se non interne) affermano che ci sarebbe materiale pubblicabile per diversi decenni a venire, con precise indicazioni lasciate dallo stesso J. D. S., in tutti i suoi anni di lavoro latente, sul quando e sul come regalarlo al pubblico. 
Non ci resta che attendere nuove!

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Oleh