domenica, novembre 16, 2014

To Kill a Mockingbird



“Mockingbirds don’t do one thing but make music for us to enjoy. They don’t eat up people’s gardens, don’t nest in corncribs, they don’t do one thing but sing their hearts out for us. That’s why it’s a sin to kill a mockingbird.”
   
1960. Harper Lee pubblica un libro che, dopo non molto tempo, diventerà uno dei più importanti romanzi di formazione della storia. Lo chiama “To kill a mockingbird”: “Uccidere un usignolo”. Titolo particolare la cui bellezza e il cui significato si rivelano dopo non molte pagine del libro. In italiano viene trasformato del tutto, come spesso accade con i titoli dei libri o dei film, gli editori e i traduttori decidono che da quel momento in poi l’opera di Harper Lee si chiamerà Il buio oltre la siepe. Sono due titoli discordanti tra loro ma quello italiano supera in bellezza, se possibile, quello originale. Il buio oltre la siepe è quello che continua a spaventare per anni i fratelli Finch, Jem e Scout, quel luogo tanto vicino quanto sconosciuto che, pur essendo solo a pochi passi dalla veranda e dal giardino della loro casa dove trascorrono tutte le estati con l’amico Dill, li terrorizza. C’è un angosciante alone di mistero intorno a quel buio oltre la siepe, intorno alla villa dei Radley, e in città la leggenda di Boo Radley si insinua in ogni casa, in ogni fessura dell’immaginazione degli abitanti di Maycomb, animando i racconti dei ragazzi e facendo brillare di terrore gli occhi dei bambini a cui viene proibito dai genitori anche solo di avvicinarsi al cortile dei Radley. Si racconta che Boo Radley non uscisse da casa ormai da vent’anni e sono in molti a credere che in realtà fosse morto da tempo, ma nessuno si interessa alla realtà, nessuno ha il coraggio di bussare alla porta dei Radley e chiedere cosa sia successo a loro figlio. Il problema più grande della piccola contea dell’Alabama è, come ci racconta la piccola Scout Finch attraverso i suoi occhi vispi e le sue parole forti, la paura e il disprezzo verso lo sconosciuto, l’oscuro. Così come hanno paura di qualcuno che non hanno mai visto, perché “chi non esce mai di casa, sicuramente ha qualcosa da nascondere”, gli abitanti di Maycomb tendono ad allontanare tutto ciò che è diverso dalle loro abitudini, dalle loro tradizioni, dal loro concetto di ‘buona famiglia’ e ‘brava persona’: gli stranieri sono tra questi.

Scout incomincia a raccontare ai lettori, nel modo più semplice possibile, come se stesse parlando ad un amico, la sua vita a Maycomb, che prosegue tranquilla di giorno in giorno tra le estenuanti giornate nell’odiata scuola della contea, i giochi con il fratello Jem e le letture serali del giornale con il padre Atticus, avvocato idealista e coraggioso. Scout mi trasporta fin da subito nelle dinamiche cittadine e nelle abitudini intramontabili dei suoi abitanti, e dopo solo qualche rigo mi sembra di essere nei suoi panni, il mio sguardo è diventato il suo e i miei occhi devono necessariamente muoversi veloci per seguire i suoi, attraverso le strade, gli avvenimenti e le emozioni della sua vita nel quadro tanto tipico quanto sconfortante di Maycomb, il cui ritratto sembra già essere ben delineato dopo qualche capitolo, ma in realtà si rinnova ogni volta mostrando sempre nuovi sconcertanti aspetti di sé.



All’improvviso, un giorno qualunque di un’estate qualunque, Jem e Scout con il loro amico Dill, decidono di smettere di avere paura, di sconfiggere il terrore e la diffidenza verso il buio oltre la siepe e andare quindi a trovare Boo Radley di nascosto. Nello stesso momento Atticus accetta una causa che cambierà la vita di tutta la sua famiglia, un’impresa impossibile in cui decide però di credere, che gli metterà contro tutta Maycomb: dovrà difendere in tribunale un giovane ragazzo nero accusato di violenza carnale contro Mayella Ewell, figlia di uno degli abitanti storici della contea.
Attraverso gli occhi di Scout vediamo come gli sguardi di rispetto e riverenza dei vicini di casa verso Atticus si trasformano in occhiate di disprezzo e diffidenza, come cominciano a logorarsi anche i rapporti con le zie e i cugini che lo chiamano ‘difensore di negri’. Scout e Jem sono costretti a fronteggiare costantemente le prese in giro dei compagni di scuola e dopo qualche pianto e qualche rissa, Scout si convince finalmente che non c’è nessun bisogno di difendere il padre dagli insulti anche perché lui le chiede di non farlo.
Harper Lee racconta, attraverso gli occhi critici di due bambini, che spesso sembrano essere gli unici in grado di giudicare la realtà che li circonda, la lotta di un uomo, di un padre che sogna un mondo nuovo per i suoi figli, senza barriere, senza bambini che non hanno il diritto di imparare a leggere e senza la paura verso il buio oltre la siepe.


"Volevo che tu imparassi una cosa: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede"

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Oleh