lunedì, marzo 31, 2014

Apri la porta, c'è il sole lì fuori...

Non vi sentite tutti rinati dopo questo inizio di primavera e il nostro mese dedicato alla rinascita?
Molti di noi hanno imparato ad affrontare le proprie paure, qualcuno ha imparato ad affrontare se stesso, altri hanno capito di cosa avevano bisogno per ricominciare.
Ci troviamo tutti prima o poi davanti all'esigenza di prendere la propria vita in mano e darle una svolta, bisogna solo capire quando è giusto farlo e come bisogna farlo.
Rinascere non significa rinnegare se stessi, ma anzi riscoprirsi, reinventarsi non significa essere diversi da quello che siamo, ma scoprire un nuovo modo per mostrarsi.
Possiamo essere ispirati da una poesia, da una canzone, da un libro, da un film.
Rinascere può consistere anche nello spunto di fare cose nuove o riprendere abitudini che non seguivamo più da tempo.
Forse c'è ancora qualcuno che non ha capito come farlo. 
Beh, il consiglio migliore che potremmo dargli e di uscire dal buio, uscire dalla solitudine, ed aprire la porta, perchè c'è il sole li fuori, e la luce può farci solo del bene.

domenica, marzo 30, 2014

La Collina dei Papaveri.

Sono passati pochi mesi da quando, per caso, mi sono avventurato in un mondo per me fino a quel momento ignoto. Lo Studio Ghibli viene fondato nel 1985. Tokuma Shoten (Tokuma Shoten Publishing Co., Ltd, la società che aveva prodotto Nausicaä della Valle del Vento) fonda lo Studio insieme ai registi Hayao Miyazaki e Isao Takahata.In quello stesso anno, Ghibli produce Laputa, il castello nel cielo. La storia dello Studio Ghibli, però, è iniziata probabilmente più di trent’anni fa, quando Takahata e Miyazaki si incontrano per la prima volta: entrambi lavorano alla Toei Animation, uno studio di produzione che all’epoca si occupava solo di film di animazione per il cinema. Per varie ragioni, lo studio aveva iniziato poi a produrre soltanto cartoni animati per la tv (tra cui la serie Heidi, in onda nel 1974, animata da Miyazaki e diretta da Takahata). L’idea iniziale di uno studio non è necessariamente quella di una struttura di lunga durata. Quando iniziano a lavorare al loro primo film, Nausicaä della Valle del Vento, il loro scopo è concentrare su questo lavoro tutti gli sforzi e le energie, assicurandosi che il budget e il tempo siano sufficienti per non dover compromettere la qualità del film. Miyazaki e Takahata vogliono essere i responsabili del progetto, non dei semplici finanziatori dello studio o dirigenti d’azienda. “Ghibli” è il nome che, durante la Seconda Guerra Mondiale, i piloti italiani in Nord Africa diedero ad un vento caldo del deserto proveniente dal Deserto del Sahara, ed è anche il nome usato per indicare i loro aeroplani da ricognizione. Hayao Miyazaki, che ha da sempre una passione per i vecchi velivoli, ne era a conoscenza, e ha deciso di usare questa parola come nome per il nuovo studio: “Facciamo soffiare un vento caldo nel mondo dell’animazione giapponese!”.
Anche se “Ghibli” è una parola italiana, la giusta pronuncia è jee-blee (ji-bu-ri in giapponese).
Ad oggi i lungometraggi realizzati dallo Studio Ghibli son ben ventuno, tutti di grande successo a livello mondiale, tanto da aver creato un vero e proprio universo attorno a queste prudizioni. Purtroppo non tutti i film sono disponibili in italiano, ma tanti sono i riferimenti al nostro paese in questi film, come dimostra ad esempio Porco Rosso.

Oggi vi voglio raccontare l'ultimo dei film che io ho visto, e non vi preoccupate perchè nelle prossime settimane vi narrerò anche degli altri. Devo ammetterlo, ero dubbioso all'inizio, perchè La Collina dei Papaveri è uno dei pochi film dello Studio Ghibli in cui magia ed essere fantastici sono totalmente assenti. Ovviamente mi sono ricreduto, perchè a mio parere il film si è dimostrato senza dubbio uno dei migliori di questa produzione. Ambientato in una cittadina giapponese negli anni '60, narra le vicende della giovanissima Umi Matsuzaki e dei suoi compagni di scuola, in un periodo di rinnovamento per il Giappone e i suoi giovani. Infatti, ai momenti familiari di Umi, sempre molto deliziosi, con un variopinto quadro di personaggi tutti femminili (ad eccezione del fratellino di Umi), si alterna la vita scolastica di questo gruppo di ragazzi che dopo la scuola si riunisce in un antico edificio con associazioni studentesche di ogni tipo, che trattano di scienza, filosofia, storia, letteratura e molto altro. E' splendido vedere questa moltitudine di ragazzi riunita in piccoli gruppi in stanze bizzarre, disordinate e tutte diverse tra loro in questo grande palazzo, nel quale Umi è l'unica figura femminile. Un po' per caso, un po' per diletto, Umi inizia a collaborare con Shun Kazama, un ragazzino di cui è segretamente innamorata, e il quale ricambierà i suoi sentimenti, anche se poi i due ragazzi faranno una scoperta che rischierà di rovinare per sempre questa storia d'amore. Non vi svelo ovviamente cosa accade, ma vi racconto di come i disegni di questo film sono talmente minuziosi da rendere godibilissima qualsiasi scena (io personalmente ho amato il mercato di sera), e divertentissima la parte centrale con le ragazze della scuola che entrano finalmente nel centro di ritrovo di queste associazioni, per dargli una rassettata ed una ripulita.
Una storia d'amore e di amicizia, familiare e scolastica, una storia giovanile di impegno e progresso, di rivolta e di rivoluzione. Tutto narrato in maniera garbata, delicata, fresca, mai monotona.
Una perla di film, che fa riflettere e sognare, perchè il fatto di essere d'animazione non toglie nessun fascino per il pubblico adulto, anzi è quello che ti spinge a guardare il film con attenzione dall'inizio alla fine.
E' un po' la maglia dello Studio Ghibli, attrarre con un qualcosa che potrebbe sembrare fanciullesco, ma che ammalia  forse più i grandi che i piccini.
Ci sono ancora tanti film di cui vi parlerò, e spero che nel frattempo guardiate La Collina dei Papaveri, perchè vi dimostrerà l'intelligenza di questi lungometraggi e la meraviglia dei tratti delle loro illustrazioni, che mi hanno stregato, per caso, in un pomeriggio durante il quale ho scoperto questo fantastico mondo.

sabato, marzo 29, 2014

#100happydays


“Sei capace di essere felice per 100 giorni di fila?” 
È questa la frase provocatoria che apre la campagna #100happydays nata dall’idea di Dmitry Golubnichy, una sfida lanciata sui social che sta riportando il sorriso in tutto il mondo.

Basta postare una foto al giorno per cento giorni di fila che mostri cosa ci ha fatto sorridere nelle ultime ventiquattr'ore, dal sorriso di un bambino alle coccole del nostro cane, dalla gentilezza di uno sconosciuto fino alla cena deliziosa che ci siamo concessi, l’importante è trovare qualcosa che ci abbia regalato anche un solo attimo di felicità.


In realtà non è poi così semplice come sembra, il sito ufficiale della campagna infatti recita che il 71% delle persone che hanno accettato la sfida non l’hanno poi portata a termine perché non avevano tempo; ma davvero non abbiamo il tempo per essere felici? Ci circondiamo di moderne tecnologie e di ogni comfort quando in realtà basta una giornata di sole o una passeggiata al parco per farci stare meglio.

Una domanda sorge spontanea: perché mai dovrei farlo?
“Le persone che hanno completato con successo la sfida – dice Dmitry – hanno affermato che:
- ci si rende conto ci ciò che ci rende felici ogni giorno;
- si è di buon umore ogni giorno;
- si ricevono più complimenti dagli altri;
- ci si rende conto della fortuna che si ha di vivere la propria vita;
- si diventa più ottimisti;
- ci si innamora durante la sfida.”
Chiunque sogna di essere felice quindi perché non provarci? Anche quando la sfida sarà finita questi 100 momenti potranno ricordarci quanto è bella la vita che stiamo vivendo.



Allora cosa aspettate? Scegliete il vostro social preferito e postate le vostre cento foto con l’hashtag #100happydays e regaliamo tutti insieme un po’ di sorrisi al mondo.

Sulla riva del fiume.

Ogni giorno Kunimichi si recava sulla riva del fiume. Ogni giorno vedeva le stesse persone lungo il suo cammino, vedeva gli stessi luoghi, le stesse case, gli stessi negozi.
Ormai aveva imparato che il signor Shigeki alle cinque in punto del pomeriggio passava di li in bicicletta, con il suo bel cestino di vimini sul davanti. Spesso aveva dei fiori, o degli ortaggi nel cestino, in un variopinto insieme di prodotti tipici di quella zona.
Aveva imparato che il negozio di dolciumi della signora Fuyuko aveva sempre in bella mostra dei grandi chinsuko in vetrina, appena sfornati, friabili e profumati.
Aveva imparato che l'ultimo edificio prima del molo era abitato solo da due famiglie, che non andavano neanche d'accordo tra loro.
Kunimichi aveva imparato tutte queste cose, recandosi ogni giorno sulla riva del fiume, a metà pomeriggio.
Prima ci passava sempre all'uscita da scuola, ma da quando suo padre aveva cambiato lavoro, la sua famiglia aveva anche cambiato casa, e lui non passava più di li dopo le lezioni.
E così ogni pomeriggio, verso le cinque, prendeva la bicicletta e scendeva verso il fiume.
Gli alberi di ciliegio erano in fiore ormai, e alcuni petali sfioravano il suo volto mentre pedalava in discesa sulla via verso il molo.
Kunimichi non sapeva perchè continuava ad andarci. Non era solo, aveva tre sorelle, tanti amici, parenti di ogni sorta, ma lui preferiva restare in disparte a volte. Era un tipo divertente, che amava stare in compagnia, ma aveva bisogno del suo momento tutto per se, e se lo concedeva sulla riva del fiume.
Kunimichi non era solo, non amava essere solo, ma aveva bisogno di esserlo, almeno una volta al giorno.
Stava crescendo, e qualcosa in lui cambiava, qualcosa invece era legato al passato.
Era sempre andato al molo, fin da bambino, fin da quando sua madre lo portava li dopo aver comprato un po' di dolciumi al negozio della signora Fuyuko, fin da quando ne avesse memoria.
La sua vita stava cambiando, aveva cambiato casa, aveva nuovi amici, e forse avrebbe lasciato la sua piccola città per una grande metropoli un giorno, terminata la scuola.
Kunimichi continuava ad andare sulla riva del fiume, perchè quello era un piccolo pezzo del suo passato che non poteva lasciare andare.
Ogni giorno Kunimichi si recava sulla riva del fiume. Ogni giorno vedeva le stesse persone lungo il suo cammino, vedeva gli stessi luoghi, le stesse case, gli stessi negozi.
Ogni giorno Kunimichi si recava sulla riva del fiume.  E lo fece fino al giorno in cui lasciò la sua piccola città per una grande metropoli, e ogni volta che tornava a far visita alla sua famiglia riprendeva la bicicletta, attraversava il viale dei ciliegi, e tornava sul molo.
Non sapeva perchè, ma aveva bisogno di stare solo ogni tanto Kunimichi, e nessun altro posto era più dolce per lui per abbandonarsi ai suoi pensieri di quel pontile sulla riva del fiume.

giovedì, marzo 27, 2014

Rinascere e Reinventarsi nel mondo delle serie TV

Lisa Kudrow e Courteney Cox (Friends) si ritrovano in Cougar Town.
Lo show Business è un mondo molto tortuoso, pieno di insidie e a volte c'è chi ci rimane secco, sia letteralmente che metaforicamente.
Essere il protagonista di una serie porta con se tanti pregi, ma a volte anche tanti difetti e un bagaglio, composta da fan e da critiche, a volte molto pesante.
Sono cresciuto vedendo i grandi telefilm degli anni '90 e '00, da Streghe a Buffy, passando anche per Friends, Sabrina vita da Strega e Ally McBeal. E' lì, proprio in quegli anni che sono diventato un telefilm addicted e ho imparato a memoria tutti i nomi, le sigle e i credits delle varie serie televisive.
Però poi arrivava la loro fine e vedevo scomparire dallo schermo Sarah Michelle Gellar, Alyssa Milano, Holly Marie Combs, Emma Cuffied, Calista Flockhart, Peter MacNicol.
Cercavo disperatamente i loro nomi in altre serie, o a volte li intravedevo buttati li come Guest Star in un episodio di una serie che non vedevo mai, pensando: “Ormai hanno fatto il loro corso, hanno avuto il loro successo, altri prenderanno il loro posto nel mio cuore!”
Ma poi mi sono ricreduto, quando uno dopo l'altro li ho visti rinascere, tutti in nuove serie, certo non con ruoli da protagonisti come nei vecchi tempi, ma come spalle ai nuovi attori; Holly Marie Combs oggi fa parte del cast di Pretty Little Liars interpretando la mamma di una delle protagonite, Calista Flockhart, ha invece ricoperto il ruolo di una nuova protagonista in Brothers&Sister, nonostante fosse reduce del successo di Ally Mcbeal, e Curteny Cox da protagonista di Friends, ora porta avanti uno show tutto suo intitolto Cougar Town.
Certo gli attori sono cresciuti, come anche noi fan, e hanno sperimentato nuovi generi, nuove storie, nuovi personaggi e forse chi ci ha creduto veramente è riuscito a guadagnarsi un piccolo posto in quell'inferno che è lo show business americano.

mercoledì, marzo 26, 2014

...ed in fondo resti sempre te stesso.

Si cresce, si cambia, si matura, bla bla bla.
Il nocciolo che abbiamo dentro era, è e sempre sarà quello.
Certo il tempo che passa, le brutte esperienze, le delusioni, i tradimenti tendono a smussare qualche lato del nostro carattere ma in fondo siamo e saremo sempre noi.
La vita ci ha indurito? Saremo duri con gli altri ma sarà difficile esserlo con noi stessi.
Conosco gente che ha avuto delusioni enormi ed è diventata cattiva, perfida, che non ha guardato in faccia niente e nessuno pur di avere una rivalsa sulla vita, sul proprio nemico (scusate se m'infervoro ma mi tocca un pochino in prima persona), per riprendersi quello che gli è stato tolto; persone trasformate quasi di "bestie" che alla fine si ritrovano a piangere quando guardano "Ritorno al futuro" o "1997 Fuga da New York" o a prepararsi con la maglietta da "series tv addict" con la scritta CTU in attesa che ricominci "24". Insomma la vita ci cambia e fa in modo anche di lasciarci sempre gli stessi, come un equalizzatore impazzito che conserva una sua logica, una sua memoria.
Puoi cambiare ma non puoi smettere di essere chi sei, non del tutto, non fino in fondo.
Anche volendolo.
Quello che cambia è il modo in cui ti vedono gli altri ed anche qui c'è una logica che ho imparato a caro prezzo: meglio essere stati dei gran cattivi tutta la vita, disonesti e sleali, malfidati, arroganti...e poi un bel giorno diventare buoni; e li la gente tutta a dire: "Visto? Io lo dicevo che in fondo era una brava persona!".
Se invece per tutta la vita sei stato onesto, bravo, diligente, hai trattato bene il prossimo ed hai aiutato le vecchiette ad attraversare la strada ed arriva il giorno in cui pensi necessariamente a te stesso, ecco li la gente che urla: " Hai visto? Lo dicevo io! Quello era un gran bel pezzo di m***a...faceva tanto il buono".
Ma a conti fatti fregatevene di quello che dice la gente, siate voi stessi, pensate a volervi bene e sappiate che il passato non lo potete cambiare, quello resta li, immutabile.

One Tree Hill, un posto per rinascere.

sul set dell'ultimo episodio,da sinistra: Skills, Mouth Julian, Brooke, Chris, Chase, Clay, Millicent, Quinn, Haley, Nathan.
 Esprimi un desiderio e portalo nel tuo cuore. 
Qualsiasi cosa tu voglia.
Tutto ciò che vuoi. Ne hai uno? Bene. 
Adesso convinciti che possa diventare realtà. 
Non puoi mai sapere da dove possa arrivare il prossimo miracolo, 
il prossimo sorriso, il prossimo desiderio realizzato. 
Ma se credi che si trovi proprio dietro l'angolo
e apri il tuo cuore e la mente a questa possibilità, 
alla sua certezza... potresti davvero ottenere ciò che desideri.
Il mondo è pieno di magia.
Devi soltanto crederci.
Quindi esprimi il tuo desiderio.

Ne hai uno? Bene adesso credici con tutto il cuore.

Lontano dal sole della California (The O.C.), lontano dai divertimenti di Los Angeles (Beverly Hills 90210), lontano dal lusso di New York (Gossip Girl), One Tree Hill riporta uno spaccato di una cittadina di provincia, cioè la vera America, fatta di persone comuni, fatta di problemi veri, fatta di adolescenti e genitori. Storie realistiche per un teen drama, uno dei pochi che ha realmente mostrato l'evoluzione dei suoi protagonisti dall'adolescenza all'età adulta. Personaggi concreti, con i quali è facile identificarsi, specie se si è un adolescente, come lo ero io dieci anni fa quando ho iniziato a seguire la serie. In nove stagioni abbiamo visto i personaggi confrontarsi con tutte le problematiche che noi affrontiamo ogni giorno. È vero, non tutti sogniamo di diventare un giocatore di basket, non tutti vogliamo diventare cantanti, o dirigere una casa di moda, ma ognuno di noi ha affrontato i problemi che si incontrano sulla strada per realizzare il proprio sogno. Perchè questo è il significato di questa storia, riuscire a realizzare i propri sogni, nonostante i rischi lungo il percorso.
One Tree Hill ha aiutato noi spettatori a crescere, ci ha aiutato a credere in noi stessi. Il percorso dei protagonisti si incrocia ma è differente, ognuno di loro prende una direzione ben precisa. Anche il contorno variegato dei personaggi secondari si concreta episodio dopo episodio, ognuno di loro ha una storia da raccontare.
Tree Hill da una seconda opportunità a tutti, tutti hanno la possibilità di cambiare, di rinascere.
Ebbene si, tanti dei nostri personaggi rinascono, quasi sempre in meglio, in questa storia, ed è così che Nathan Scott da sbruffone e prepotente diventa affettuoso e disponibile, è così che riesce ad uscire dal circolo vizioso di odio e competizione creato da suo padre, è così che risorge dopo l'incidente che lo aveva bloccato sulla sedia a rotelle per mesi, e gli aveva fatto dire addio al suo più grande sogno, giocare nell'NBA. E' così che Nathan alla fine perdona suo padre, causa di molti dei suoi mali.
Inizia come personaggio "negativo", per poi conquistare il cuore di tutti, diventando una delle protagoniste assolute della serie, lei, l'unica, l'inimitabile Brooke Davis, che dalla cheerleader senza cervello diventa donna ed imprenditrice di successo, con un sogno nel cassetto. Creare la sua famiglia, quella famiglia che da bambina le è stata negata dai suoi genitori, troppo impegnati ad inseguire il successo imprenditoriale per occuparsi della loro unica figlia. Viziata, dispettosa, e desiderata da tutti i ragazzi del liceo di Tree Hill, Brooke dovrà affrontare poi il mondo reale, lontano dalla popolarità del liceo. E ce la fa, diventa direttrice della sua casa di moda, insieme a sua madre, con la quale avrà un rapporto talmente difficile da esplodere nelle ultimi stagioni, prima della riappacificazione finale. Infatti Victoria alla fine capisce l'importanza di credere in sua figlia non in quanto macchinetta sforna soldi, ma in quanto persona intelligente e capace. Brooke riuscirà finalmente ad avere la sua famiglia con Julian, piccolo grande personaggio, inizialmente antipatico a tutti, e poi angelo custode e felicemente innamorato della nostra Brooke. Sarà lui la sua ultima rinascita, quella che le permetterà di realizzare il sogno più grande, la famiglia.
Piccoli grandi personaggi sono anche Skills, la vena comica della storia, Mouth, la coscienza un po' di tutti, che ci fa sempre riflettere sul grande tema dell'amicizia, Chris Keller, che nel finale si fa perdonare per tutte le malefatte del passato aiutando Julian e Dan a salvare Nathan (anche se poi se la da a gambe levate), e Chase, davvero un eroe di questa storia. Chase Adams era il belloccio della scuola, popolare e fidanzato con Brook Davis. Ma finiti i tempi gloriosi del liceo Chase rimane in una nicchia, diventando il barman del Tric. Chase ha un cuore d'oro però, e così partecipa all'iniziativa dei "fratelli maggiori", per i ragazzini meno fortunati, diventando l'idolo di Chuck. Alla fine, per proteggere Chuck e sua madre dagli abusi del padre, colpisce l'uomo, mettendo a rischio la sua carriera militare. Chase dimostra che si può rinunciare anche ad un sogno, per salvare qualcuno che si ama. Diventerà alla fine il proprietario del Tric, diventando di merito uno dei personaggi con una maggiore evoluzione durante la storia. Chase dimostra come anche nel proprio piccolo si può essere grandi, senza rincorrere chimere o sogni impossibili, come potrebbe accadere a tutti noi, ogni giorno.
il matrimonio tra Peyton e Lucas, celebrato da Haley.
Non si possono non nominare Lucas e Peyton, i primi veri protagonisti del telefilm, entrambi cresciuti in una situazione familiare disastrosa, entrambi con un sogno, sebben diverso, e talmente innamorati l'uno dell'altra da perdersi alle volte, perchè il loro amore era ingestibile. La loro storia si chiude con un lieto fine, dopo tanti, troppi dolori.
Ci sono tanti esempi positivi in One Tree Hill, tra cui spicca il piccolo Jamie, un po' la parte più buona di tutti personaggi, e senza dubbio Karen (la madre di Lucas) e Keith (zio di Lucas e Nathan), la cui morte ha fatto piangere milioni di telespettatori davanti alla tv.
La morte di Keith stravolgerà la vita di tutti, la vita di tutta Tree Hill, insieme al suicidio di Jimmy. In una delle puntate più belle, e senza di dubbio anche la più tragica, assistiamo ad una scena orrenda dell'America di provincia, una strage nel liceo di Tree Hill. Jimmy alla fine si toglie la vita, dopo aver ferito alcuni dei suoi compagni. Dan approfitta della situazione, suo fratello, Keith è nella scuola, era li per convincere Jimmy ad arrendersi, ma non ci riesce. Dan uccide Keith in una scena che ancora oggi mi fa piangere, una delle morti più clamorose del piccolo schermo degli anni 2000. Dan supera il limite ed uccide suo fratello, che aveva tutti i pregi che lui non era riuscito a fare suoi.
Keith muore, e nessuno potrà mai perdonare a Dan quello che ha fatto. Dan Scott è uno dei personaggi più spregevoli della tv americana. Abbandona il suo primogenito Lucas, con il quale non vuole avere a che fare, maltratta sua moglie e suo figlio Nathan, semina zizzania tra chiunque lo circondi, ma Jamie sarà la sua redenzione.
Anche il più temibile dei cattivi viene salvato in One Tree Hill, grazie ad un bambino che ama suo nonno, perchè la sua innocenza non capisce il male che ha fatto. Sarà orribile per Dan vedere Jamie staccarsi da lui dopo aver scoperto la verità su Keith, e sarà estremamente commovente vedere Jamie tornare da lui dopo che Dan salva suo figlio, Nathan, dai rapitori nella nona stagione.
Il bene trionfa sempre, penserete, ma in questo caso senza buonismo. Dan è un assassino, e come tale deve essere ricordato. E' vero, ha salvato la vita prima Jamie (rapito dalla tata Carrie), e poi a Nathan, ma questo nella memoria di nessuno cancellerà mai quello che ha fatto. Ed è per questo che Lucas non sarà li vicino a suo fratello sul letto di morte del padre.
C'è anche chi parte come personaggio positivo per poi diventare negativo, e infine rinasce. E' il caso di Millicent, che da ragazza timida della porta accanto diventa senza regole e senza inibizioni, cadendo nel circolo della droga, per poi rialzarsi, a fatica, e ritornare in una versione di se più matura e finalmente consapevole di se stessa. La società fa anche questo, se non sei nessuno e vedi arrivare d'un tratto tutto quello che sognavi ma non avevi mai avuto, perdi il controllo di te stesso, e risalire la china non è sempre semplice.
Una delle storie d'amore più belle è rappresentata da Clayton e Quinn, che uniscono le loro solitudini, capendo finalmente che c'è molto altro prima del lavoro, e diventando un esempio di un amore così intenso da essere puro sotto ogni punto di vista.
E c'è un personaggio in One Tree Hill che nonostante tutto quello che le è accaduto non ha mai perso la strada, e quindi non ha mai avuto bisogno di rinascere. E' il mio personaggio preferito, e senza dubbio la vera protagonista morale di tutta la serie.
Haley James Scott (Bethany Joy Lenz)
La piccola e studiosa Haley James Scott decide di rischiare tutto: si innamora del ragazzo più popolare e antipatico della scuola, Nathan, fratellastro del suo adorato migliore amico, Lucas, e vince la sua scommessa.
Nathan non è quello che sembra, e per lei farebbe qualunque cosa, anche rinunciare a quel personaggio di bello e impossibile che mostra a tutta la scuola. Nathan è l'uomo della sua vita, e lei sarà la luce sul suo cammino, Nathan diventa l'uomo che è grazie alla sua dolce ma fortissima Haley.
E l'amicizia abbatte anche l'odio tra fratelli, perchè sarà grazie alla grande unione tra Haley e Lucas che lui e Nathan diventano finalmente una famiglia.
Haley diventa la migliore amica di Brooke, eppure le due non avevano nulla in comune al liceo, la ragazza meno popolare e quella più popolare diventano una delle più belle amicizie tra donne viste in tv.
Haley è la splendida e premurosa madre di Jamie e Lydia, e rende il suo bambino un piccolo grande uomo.
Haley lotterà perchè l'amore tra Lucas e Payton abbia finalmente un lieto fine, e celebra il loro matrimonio.
Haley piangerà la morte di Keith ma darà un'ultima possibilità a Dan.
Haley aiuterà ogni singolo personaggio della storia narrata, persino quelli che vediamo in pochi episodi. Lei è il fulcro della storia, tiene uniti tutti i personaggi, e non ha bisogno di rinascere perchè lei non cadrà mai lungo il suo cammino, neanche dopo la morte della sua adorata mamma.
Haley simboleggia lo spunto per rinascere per tutti gli altri personaggi, il più cristallino esempio morale a mio parere della televisione americana, spesso piena di personaggi che vincono con astuzia, inganno ed egoismo.
E tutti i sogni di Haley si realizzeranno, perchè se fai del bene questo ti torna indietro, e lei ne è l'esempio.
Perchè se insegui un sogno e ci credi, ogni giorno sei più vicino alla sua realizzazione.
Non sono uno di quelli che piange davanti al teleschermo, ma tante, tantissime volte ho pianto guardando One Tree Hill, nel bene e nel male, perchè Haley, Nathan, Jamie, Brooke, Julian, Mouth e tutti gli altri sono entrati nella mia vita, mi hanno insegnato cosa significare inseguire un sogno, cosa significa sacrificarsi per chi si ama, cosa vuol dire credere in se stessi e ripartire da zero se necessario.
Sempre restando se stessi. Sì, perchè la rinascita in One Tree Hill non significa cambiare ciò che siamo, ma portare alla luce il meglio di quello che abbiamo già dentro. Non dobbiamo cambiare mai quello che siamo, possiamo sbagliare negli atteggiamenti, nelle pretese, nel rapportarci, ma non sbagliamo mai nell'essere ciò che siamo. Rinascere significa capire se stessi e far conto sulle proprie forze, ora che siamo consci di averle.

Non voglio essere nient'altro più di
quello che ho cercato di essere ultimamente,

tutto quello che devo fare
è pensare a me, e avrò pace nelle mente
sono stanco di dare un'occhiata alle stanze
chiedendomi cosa devo fare
o chi dovrei essere,
non voglio essere nient'altro che me.


martedì, marzo 25, 2014

Una vita di ginestre


Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna de' mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
E' il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.

La Ginestra. 
Giacomo Leopardi

Siamo tutti ginestre, che nasciamo tra i posti più aridi, nei deserti, nelle città ombrose.
Siamo tutti ginestre... Petali che baciano le strade, steli che si radicano nei suoli più secchi, foglie che si cibano di luci opache.
Siamo tutti ginestre. Nei cuori, nelle vite delle persone, negli spazi degli sconosciuti, nei ricordi di un amico. 
Il pessimismo costraddistingue la nostra epoca, costellata di crisi. Crisi sociali, crisi emotive, crisi di valori, crisi economiche, crisi familiari. E questo pessimismo sembra un martello pneumatico che ci spinge a ingoiare quel poco di speranza che albeggia tra la voglia di andare via da qui e quella di lottare per rendere questo paese, un paese migliore. La risorsa è lì, tra un tramonto che regala magie di colori e la delusione di non averlo saputo dipingere bene. Ma cosa importa...
Bisogna rinascere ancora, sbagliare, deludere, ferire, essere felici...
Bisogna trovare sempre del terreno fertile per credere ancora che si può migliorare, si può essere perdonati, si può amare ancora.
Siate le ginestre delle vostre vite.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
La Ginestra. 
Giacomo Leopardi

Molto forte, incredibilmente vicino.

Avete mai cercato di ritrovare qualcuno che è stato importante per voi e che non è più presente nella vostra vita per un motivo qualsiasi? E avete mai provato a superare qualcosa che vi sembra ogni minuto più grande di voi?, vi sentite soffocare, non sapete come andare avanti in nessun modo, scendete in strada, correte sulla cima di un ponte e gridate con tutta la voce che avete in corpo sperando che qualcuno vi senta e vi venga ad aiutare. E alla fine qualcuno arriva sul ponte, lassù in alto, vi guarda senza dire una parola perché odia o magari non riesce a parlare e vi fa segno con la mano di scendere dal ponte per ricominciare la lotta contro quel qualcosa più grande di voi, che però ora sembra più piccolo perché non siete più soli.
Questa è la storia di Oskar Schell, protagonista della meravigliosa storia creata da Jonathan Safran Foer racchiusa nelle pagine del romanzo più bello che io abbia mai letto, dal libro è stato tratto anche un bel film, ma quando ho deciso di raccontare questa storia, non ho avuto dubbi: avrei parlato del libro.
Oskar è un newyorchese di nove anni ed ha una strana personalità, è riflessivo, allegro ma soprattutto molto curioso, la persona a cui tiene di più al mondo è il padre Thomas con cui ha un rapporto bellissimo, stanno insieme molto spesso, giocano, camminano per Central Park cercando reperti archeologici, leggono il New York Times cerchiando con la penna rossa gli errori negli articoli, costruiscono gioielli e creano invenzioni immaginarie. Oskar, tra le prove per la rappresentazione de LAmleto, i libri di Hawking e le chiacchierate con la nonna, passa le sue giornate in modo abbastanza felice. Questo fino a quando l’11 settembre del 2001 il padre muore nell’attacco alle Torri Gemelle.
Apparentemente la vita di Oskar non cambia, a parte qualche giorno d’assenza in più a scuola, perché lui non mostra quello che prova a nessuno, ma in realtà è proprio da qui che partono tutti i suoi problemi. Trascorre le sue notti rigirandosi nel letto e gli capita molte volte dal “giorno più brutto” di piangere in silenzio e di fare invenzioni per non pensare a tutte le cose brutte che gli vengono in mente, immagina di inventare un sistema di tubi collegato ai cuscini di tutti i letti di New York per raccogliere le lacrime di chi piange prima di dormire, riversarle nel lago di Central Park e mostrare ogni giorno il livello di sofferenze degli abitanti della città. Oltretutto sente lontana anche la madre che passa molto tempo con un nuovo ‘amico’ e a Oskar sembra che si sia già dimenticata di suo padre, si isola dai pochi amici che ha e l’unica che sembra capirlo veramente è la nonna. Oskar le racconta con il walkman tutto quello che gli passa per la mente ma sente che nel cuore della nonna ci sono dei rimpianti e un dolore che nessuno dei due può comprendere fino in fondo, che la porta ad essere sempre così silenziosa e malinconica. Oskar cerca di capirla e aiutarla perché lei, come dirà spesso nel racconto, è una delle sue raisons d’etre, ma la nonna ha un passato trascorso a scrivere lettere a un bambino mai nato e a rincorrere un uomo che scappava dalla vita per paura di soffrire, e non lo vuole raccontare a nessuno.  

Qualche mese dopo la morte del padre, Oskar va a rovistare tra i suoi vestiti e trova il coraggio di toccarli e mettere le mani nelle tasche, senza volerlo fa cadere un vaso all’interno del quale trova una busta che contiene un foglio con su scritto BLACK e una chiave. Sceglie per qualche motivo di non chiedere niente alla madre e decide quasi subito di incominciare una ricerca per trovare la serratura da aprire con quella chiave. In questo modo Oskar vuole allungare i suoi “otto minuti di luce con il padre” e quindi sentirlo più vicino perché non l’ha mai sentito così lontano e si sente terribilmente in colpa.
Iniziano così un pirotecnico viaggio per le infinite strade di New York, le conversazioni con tutti i Black della città e le corse sui ponti con il binocolo, il tamburello e la vecchia macchina fotografica del nonno. A ogni fallimento Oskar sente di essere un passo più lontano dal padre, si sente le scarpe pesanti, come se fossero piene di sassi, gli sembra di correre controvento, di nuotare controcorrente e ogni no alla sua domanda “conoscevi mio padre, Thomas Schell?” è come se lo spingesse sempre più in basso dalla montagna che sta scalando. Sta cercando di stare bene come prima per far contenta la mamma e di trovare la serratura di quella chiave per andare incontro al padre, ma non ce la fa e molte volte pensa di smettere, ma per fortuna ci saranno delle persone che lo raggiungeranno là sulla montagna che sta scalando e di cui non vede mai la cima e lo aiuteranno a salire. 
Questa ricerca aiuterà lui stesso più che chiunque altro e anche se Oskar se ne accorgerà solo alla fine del viaggio, questo sarà per lui un vero e proprio tentativo di rinascere senza il padre, di tornare a vedere il mondo con gli occhi di un bambino che vuole conoscere quello che prova, che vive e ciò che lo aspetta nella vita e a sentire tutto questo molto forte e incredibilmente vicino.

lunedì, marzo 24, 2014

Resurrection - Anastacia Is Back

Un fulmine a ciel sereno, la notte del 21 marzo. Non tanto perché era iniziata la primavera, ma perché, vagando su Youtube, mi era capitata tra le mani un'anteprima di un brano che attendevo ormai da mesi.


Un'artista dalla voce inimitabile che ho avuto la fortuna di ascoltare sin da quando avevo 9-10 anni: la domenica a pranzo, mio padre sovrano del telecomando si dilettava a passare qualche minuto a guardare Top Of The Pops. E a un certo punto apparve lei: non certo alta, prosperosa o dagli abiti elaborati. Una certa Anastacia...chi era? Mai sentita.
Il brano si chiamava I'm Outta Love. E me ne innamorai. Una delle poche cantanti serie e di qualità che l'America abbia mai potuto sfornare, e di cui dovrebbe andare fiera. Che potenza vocale, che acuti! I timpani stappavano champagne. Un momento indimenticabile. Il primo di tanti, in questi (quasi) quindici anni.


29/9/2000: Anastacia canta I'm Outta Love a TOTP.

Eppure poco più di un anno prima, Anastacia sembrava ormai rassegnata a rinunciare al suo sogno di diventare una cantante professionista. Nel 1998 partecipa al programma di MTV The Cut, dove riesce a posizionarsi tra i migliori dieci artisti emergenti della competizione. Subito dopo la fine di The Cut, ottiene un contratto ben remunerato, con collaboratori di primo livello. Nel 2000 esce Not That Kind, che viene trainato in vetta alle classifiche di mezzo mondo grazie proprio ad I'm Outta Love. Dischi di platino su dischi di platino, eppure in America non riscuote molto successo (come al solito gli statunitensi hanno gusti discutibili). Persino Pavarotti nota la sua voce magnetica, e la invita ad esibirsi a Modena nel 2001 nel celebre Pavarotti And Friends. La canzone che dà il titolo all'album è forse una delle migliori del suo repertorio, dopo I'm Outta Love: la sua voce così black risalta su una melodia sensuale e dà spessore ad un testo piuttosto cinico e spregiudicato.
 
 
Fine del 2001: un altro album. Anastacia è piuttosto autoironica e lo chiama Freak Of Nature. Pochi riescono a credere che una cantante bianca possieda doti vocali che ricordano quelle di Aretha Franklin e Gloria Gaynor. Lo "scherzo della natura" continua imperterrita a stupire il mondo realizzando brani straordinari, alcuni dei quali dovrebbero essere in tutti i lettori musicali del pianeta. Ad esempio Paid My Dues e You'll Never Be Alone: agli opposti per melodia, ritmo, testo contesto, ma entrambi accomunati dalla capacità di lasciare di stucco l'ascoltatore con acuti incredibili. 16 milioni di dischi venduti solo con Freak Of Nature. E non è uno scherzo.
 
 
 
Il 2003 sembrava un anno come gli altri per Anastacia. Tuttavia durante un intervento di mastoplastica riduttiva le viene diagnosticato un cancro al seno sinistro, che la costringe ad una immediata radioterapia e a interrompere la carriera musicale, almeno momentaneamente. Ma nemmeno questo la ferma: appena ricevuto il "via libera" dai medici, torna in sala di registrazione e pochi mesi dopo è pronta a stupire il mondo ancora una volta con Anastacia. Forse il suo album più bello e che simboleggia la sua personalità e i suoi sentimenti. Left Outside Alone, Sick And Tired, Heavy On My Heart e Welcome To My Truth rientrano di diritto tra i brani migliori della sua carriera, e sono intimamente legati a lei, specialmente il primo, che riguarda il difficile rapporto con il padre, e il terzo, ispirato al periodo della radioterapia. Il pubblico apprezza sempre più e lo certifica con oltre venti milioni di copie vendute.
 
 
 
Nel 2005 prende vita Pieces Of A Dream, che raccoglie i brani di maggior successo dei suoi tre precedenti album, aggiungendo anche l'omonima traccia e due collaborazioni con Ben's Brother ed Eros Ramazzotti. I Belong To You (Il Ritmo Della Passione) è un connubio perfetto tra le due voci, così particolari, di Eros e Anastacia, che non ha fatto altro se non aumentare l'affetto dei fan italiani verso di lei (al punto che, probabilmente, questo è il suo brano più famoso in Italia). Una ballata romantica che conquista tutti.
 
 
Per quasi tre anni, ogni volta che avevo voglia di ascoltarla, dovevo arrangiarmi con i suoi vecchi dischi, ma per fortuna nell'estate del 2008 giunse la conferma del suo ritorno. I Can Feel You non era un brano eccelso (ai livelli di Sick And Tired, per intenderci), ma ben soddisfaceva le mie esigenze di nuovo materiale da divorare. L'album, Heavy Rotation, non aveva preso la piega che mi aspettavo: lo "sprock" tipico di Anastacia lasciava spazio a qualcosa di più commerciale e meno originale, ma non per questo ugualmente orecchiabile e variegato. Dopo tutto, The Way I See It e I Can Feel You non erano assolutamente da buttare, nonostante mancasse quel tocco decisivo, quello stile che aveva caratterizzato Not That Kind, Freak Of Nature e Anastacia
 
 
Dopo Heavy Rotation probabilmente qualcuno pensava che la sua carriera fosse stata intaccata al punto da essere considerata finita. Per fortuna Anastacia non si è mai data per vinta: tra apparizioni televisive, ruoli da giudice in talent show, concerti e collaborazioni, annuncia il suo comeback dopo quasi quattro anni, e in grande stile. Un album di cover a fine 2012 e uno di inediti ad inizio 2013. It's A Man's World è, più che un'opinione personale, una constatazione della cantante: gran parte dei brani entrati nella storia sono di artisti, e ha voluto celebrare vecchie glorie come Wonderwall degli Oasis, Back In Black degli AC/DC e Best Of You dei Foo Fighters. Quella grinta un po' smarrita in Heavy Rotation torna a farsi sentire, e il risultato è decisamente gradevole, le reinterpretazioni sono piuttosto originali e non semplici cover che tentano di imitare lo stile originario.
 
 
Tutti aspettavano il nuovo album di inediti, il sesto, all'inizio del 2013. E invece niente. Aspetta e aspetta, l'unica notizia ufficiale che arrivò era, al contrario, la cancellazione del tour promozionale e il rinvio del disco a data da destinarsi a causa dell'insorgenza di un secondo tumore al seno. Tutta la comunità musicale si è stretta attorno a lei e l'autunno scorso la bella notizia: tumore sconfitto e "back to the studio". Di qualche giorno l'ancor più bella notizia: il nuovo album si chiamerà Resurrection ed uscirà in Italia il 6 Maggio. È anticipato dal singolo Stupid Little Things, che ben promette per tutto il resto della raccolta che uscirà tra meno di due mesi: potente, grintoso e movimentato, con tutta la forza e il buonumore che Anastacia riesce ad imprimere alla melodia. Non è più giovanissima, ma i bei tempi di I'm Outta Love sembrano molto vicini adesso. Fate attenzione, perché Anastacia è tornata di gran carriera. E con 85 milioni di dischi venduti, è proprio il caso di dirlo.
 
 
 

mercoledì, marzo 19, 2014

Cambiare...togliersi di dosso il supefluo

Nasciamo e cresciamo, viviamo e moriamo.
Sono queste le fasi della nostra vita condite però da un "cambiamo".
Si, no, forse ed a volte.
Il cambiamo avviene, sempre e non pensate a qualcuno che v'incontra dopo tanto tempo e vi dice "Madonna come sei cambiato", non è solo l'aspetto esteriore (quello al massimo invecchia), io parlo di quel cambiamento che accade dentro di voi, in un età indefinita, a causa di quell'evento, brutto o bello che sia e che mi rimane attaccato come gomma da masticare sotto una scarpa.
Ma cambiare è positivo o negativo?
Non è una domanda retorica, tutto quello che cambia è bello.
E' la vita stessa a volerlo altrimenti avrebbe lasciato tutto tale e quale.
La natura è perfetta in quanto si adatta, cambia per andare avanti e sopravvivere e dare a noi stessi la possibilità di farlo.
Tutto è mutevole.
Deve esserlo.
A volte si tratta solo di una piccola cosa.
Ricordo una storia.
Una volta un grande scultore espose la sua più grande opera, un piccolo Buddha di pietra.
Uno dei presenti gli porse la domanda su come era riuscito a ricavare un oggetto così bello da un semplice e anonimo blocco di pietra.
Lo scultore risposte: "Io non ho fatto nulla di speciale. Quando ho visto quella pietra mi sono accorto che l'opera era già all'interno. Io ho solo tolto il superfluo.".
Questa è forse la risposta che tutti ci poniamo.
Cambiare è togliersi di dosso il "superfluo" e rimanere con quello che siamo sul serio. Dentro.
Il nostro nocciolo.
Non importa se è bello o brutto.
Siamo Noi.
E di noi stessi si può non essere contenti ma si deve sempre andar fieri.
Cambire non è morire è venire a conoscenza di quello che siamo, salire ad un livello più alto o perché no? Anche ad un livello più basso.
Non si tratta di evoluzione ma di cambiamento.
Come dice Lavoisier: "Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma."
Questa è la vita.

lunedì, marzo 17, 2014

Rigenerazione Nordica - Melodifestivalen 2014

Vivaddio è finito Febbraio, con il suo carico di maltempo, privazione di sonno ed esami la cui preparazione è stata davvero estenuante. Un mese da prendere e mettere nel dimenticatoio sotto questo punto di vista.

Non pensavo di poter arrivare "vivo" a Marzo. Sembrava proprio una chimera, un'utopia degna dei migliori illuministi, eppure ci sono dentro. L'inizio di questo mese è per me un'iniezione di energia non indifferente. Cocciante cantava ...e rinascerò cervo a primavera... ecco, tolte le corna, ci siamo quasi.

Da dove arriva l'energia? Ovviamente dalla consistente infornata di nuova musica che dalle profondità del Nord Europa giunge qui principalmente sotto forma di streaming in lingua svedese, danese e norvegese, soprattutto svedese.

Ormai sarà la millesima volta che scrivo che la Svezia è il terzo esportatore di musica in tutto il mondo, artisti vecchi e giovani si cimentano nei più svariati generi e anche in inglese, cosa che in Italia forse non hanno ancora ben capito. Ad ogni modo, sabato 8 Marzo si è tenuto quello che si può considerare l'equivalente di Sanremo, ovviamente in svedese. Il Melodifestivalen 2014 però è ben più avvincente del corrispondente nostrano, sia per quantità che per qualità.


Prima di tutto, non si tiene in cinque giornate di fila nello stesso piccolo teatro da qualche migliaio di posti a sedere. Al contrario, ogni anno vengono scelte cinque location diverse (la sesta è sempre Stoccolma) dove far esibire gli artisti.
E mentre essi in Italia sono meno di una quindicina, divisi per notorieta e in gara tutti contro tutti, in Svezia si fanno combattere ben trentadue acts divisi in quattro semifinali da otto brani ciascuna, senza distinzione tra cantanti famosi, sconosciuti ed emergenti. Solo il televoto decide chi va avanti: i primi due vanno direttamente in finale, il terzo e il quarto di ogni semifinale finisce in un "ripescaggio" che salva altri due brani.
 
Nel nostro Paese, poi, dopo ogni serata si fa un processo allo share di Sanremo, ritenuto sempre "troppo basso" rispetto alle aspettative. In Svezia la SVT riesce a tenere incollati alla televisione circa il 35% della popolazione (con uno share che si aggira costantemente tra il 50 e il 75%). È come se Sanremo fosse visto da 30-35 milioni di persone, mentre i dati effettivi sono di 7-8 milioni. Ci sarà pure un motivo.
 
Infine, la qualità delle canzoni. Sebbene nessuno sia perfetto, per cui capita di assistere a performance non proprio esaltanti anche in Scandinavia, l'impressione generale è di una scelta egregia dei brani e degli artisti, senza le polemiche da "canzone troppo sanremese" che si fanno qui. È permesso cantare in qualsiasi lingua, così in molti ne approfittano per scrivere direttamente in inglese, mentre in Italia non si è ancora capito che Sanremo è il festival della musica italiana, non in italiano.
Tutto questo è ciò che ho sempre ricercato in un concorso di musica: libertà nell'esibizione, fuori dai cliché, per un pubblico ampio, giovane e dinamico, con un format che dia il 99% dell'attenzione ai brani e non ai fronzoli. Quest'anno sono stato ben ripagato: la canzone per cui tifavo ha vinto, anche se per un pelo non è arrivata seconda, è stato un finale thriller. Meno parole, più suono, ecco Undo di Sanna Nielsen, che alla settima partecipazione riesce a trionfare con merito con una potente e struggente ballata che mette in risalto la sua voce.


Al secondo posto si piazza, con 210 punti (212 Sanna Nielsen), la 31enne artista hip-hop Ace Wilder con Busy Doin' Nothin'. Strofe e bridge sono strutturate abbastanza bene, ma il ritornello non è il massimo della grinta e dell'irriverenza che caratterizza un'artista che rievoca, per certi versi, l'Avril Lavigne delle origini.
Sul gradino più basso del podio si piazzano...GLI ALCAZAR! Sono passati 15 anni ormai da Crying At The Discotheque, è cambiata anche la composizione della band nel tempo, ma la verve e lo stile sono rimasti gli stessi. Meno capelli per Andreas Lundstedt, più lustrini e più mosse sexy per Lina Hedlund (la mora) e Tess Merkel (la bionda). 110 punti per la loro Blame It On The Disco, che rappresenta forse la quintessenza della disco music nordica.
Al quarto posto (84 punti), con incredibile fatica e un ripescaggio insperato, si piazza la vincitrice dell'Eurovision Song Contest 2005 Helena Paparizou, greca ma nata in Svezia e quindi ammissibile al concorso nordico. La sua voce potente e suadente trasforma Survivor in un brano che non verrà dimenticato in breve tempo.
GLI ALTRI - Quinto posto per Linus Svenning con Bröder (Fratelli), sesto per YOHIO con To The End, settimo per Ellen Benediktson con Songbird, ottavo per lo svedese di origini venete Oscar Zia con Yes We Can, nono per la band di origini africane-finlandesi Panetoz con Efter Solsken (Dopo il Tramonto), ultimo Anton Ewald (quarto l'anno scorso) con Natural.

Sarà quindi Sanna Nielsen a rappresentare la Svezia all'Eurovision Song Contest 2014, che si terrà a Copenhagen (Danimarca) il 6-8-10 Maggio e dove saremo rappresentati da Emma Marrone con La Mia Città. Per l'occasione pubblicherò un articolo il prossimo mese dove troverete qualche informazione in più. Per cui... #JoinUs!

domenica, marzo 16, 2014

Diario di viaggio: quinta tappa. El Raval.

Tetto di Palau Guell
Per poter godere di tutte le sorprese di Barcellona, probabilmente bisognerebbe fermarsi per almeno un mese o due, o anche tutta un'intera estate; la vita e i colori della città vi incantano a tal punto da non poterne fare a meno.

Il MACBA
 Dopo aver goduto dell'eleganza del Barri Gòtic, io e le mie compagne di avventura ci siamo addentrate per le famose strade de El Raval, un quartiere per decenni ricordato come uno dei più sordidi della città, ma che oggi conserva quel gusto bohémiene e decadente ed è sede di numerosissimi localini trendy.
Partendo dalla Rambla de Canaletes, seguendo le piccole viuzze caratteristiche della città, si giunge al MACBA, il famosissimo Museo d'Arte Contemporanea in Plaça de Angels, posto di ritrovo di molti skaters locali impegnati a volteggiare sui gradini della moderna e bianca struttura, così in contrasto con gli edifici storici circostanti.

Opere del MACBA
Qui troverete l'avanguardia della scena artistica ospitata in sale inondate di luce naturale, grazie alle immense vetrate rivolte a sud e parecchi dipinti di artisti catalani e spagnoli, ossatura della collezione.
Certo, per chi non è esperto o non apprezza l'eccentricità o la singolarità dei pezzi, potrebbe apparire una tappa piuttosto particolare o addirittura incomprensibile (alcune opere sono davvero difficili da decifrare), ma vi consiglio di spendere un paio di ore per gironzolare nei corridoi di questo palazzo candido; non sarà come apprezzare i dipinti di Picasso, ma avrete modo di scorgere rare bellezze di oltre settant'anni d'arte contemporanea.

Dopo una breve pausa a bere sangria e mangiare tapas in una piazza di cui non ricordo il nome (ci eravamo perse), siamo riuscite a riprendere il tour sino ad arrivare all'Antic Hospital de la Santa Creu, il vecchio ospedale del quartiere, oggi famoso per essere la sede della Biblioteca della Catalunya e dell'Institut d'Estudis Catalans. Entrando da Carrer de l'Hospital si accede ad un bellissimo cortile alberato dall'aria selvaggia dove si ritrovano diversi studenti e qualche appisolato barbone, da qui potete accedere alla Biblioteca o semplicemente godervi l'atmosfera e rilassarvi su una delle panchine del giardino, giusto per riprendere fiato.

Tetto di Palau Guell

Saltando il Mercato della Boqueria, decise a vederlo con più calma, eccoci arrivare a Palau Guell, uno dei primi capolavori di Gaudì costruito per l'industriale Eusebi Guell. Anche se ha un'aria più austera rispetto alla stravaganza di altre sue opere più tarde, il progetto mostra comunque una ridda di stili: gotico, islamico, art nouveau. Il salone è una piramide parabolica, la pareti sono archi alti tre piani che s'incontrano formando una cupola, il tetto è un trionfo di mosaici e di comignoli ancora più eccentrici e colorati. Pare che Picasso cominciò il suo periodo blu nel 1902 in uno studio dall'altra parte della strada, al 10 di Carrer Nou de la Rambla.
Cupola di Palau Guell
La maestosità di Palau Guell lascia senza fiato, è impossibile non innamorarsi di questa struttura o desiderare per un attimo di vivere al suo interno. Le immagini parlano da sole. 

Da qui è possibile raggiungere la Rambla in pochi minuti, ma abbiamo preferito allungare sino ad arrivare ad una piccola chiesa, l'Eglesia de Sant Pau del Camp, la più antica della chiesa il cui chiostro è il più bell'esempio di architettura romanica della città.

Inutile dire che El Raval è un quartiere etnico e davvero caratteristico, perdersi tra le sue piccole strade è stata una gioia per gli occhi. Le casette, i murales, la vita brulicante di questo luogo sono davvero singolari. Purtroppo non è un grande esempio di sicurezza, ma ce la si può cavare.

Strade di El Raval
Ancora una volta Barcellona mi ha stupita, è una città dove si lascia il cuore.


Foto di Simona De Nicolò e Ilaria Amoruso.

mercoledì, marzo 12, 2014

Cambiare a quarant'anni.


Quaranta.
QUARANTA.
Più lo ripeto e meno paura fa.
Perché?
Perché sono stati quarant'anni degni di essere vissuti.
Pochi rimpianti e pochissimi rimorsi (considerando la media mondiale sono davvero pochi).
I miei quarant'anni gli ho vissuti bene, benissimo, quasi al massimo, cercando di spremere la vita più che potevo.
Ho avuto quasi tutto e non ho dato quasi nulla e se adesso mi ritrovo con niente in mano vuol dire solo che devo rimboccarmi le mani e iniziare da capo.
Fallito? No, sono fortunato perché le cose che davvero contano nella vita non si comprano e non si perdono....le esperienze ed i ricordi.
La famiglia? Quella che ti fai.
Gli amici? Quelli che restano.
Gli amori? Quelli che credono in te, in NOI come coppia.
La vita non è un videogame dove se perdi puoi ricominciare da un salvataggio precedente, la vita non è un film, dove puoi intuire il finale, la vita è fatta di gioie e dolori veri, di vittorie e sconfitte di viaggi, esperienze, sorprese, incontri, addii, bello, brutto, bianco, nero, sporco e pulito, la vita è...tutto.
E quaranta vuol dire tanto se hai avuto tanto, vuol dire nulla se devi ancora iniziare.
Cambiare a quarant'anni si può, a volte si deve necessariamente, per andare avanti, per sopravvivere.
Cambiare è sempre e comunque bello.
Se mi sono indurito o il contrario non lo so, a dire il vero non m'importa.
Sarò diventato intollerante? ( di sicuro lo sono al lattosio)
Non lo so, come non so tante cose, devo imparare ancora tanto e forse CAMBIARE ancora molto.
Quello che ho imparato e che so con certezza è che sinceramente voglio bene a chi non la pensa come me e lo rispetto anche.....ma nel suo parere non m'importa nulla, vado avanti in questa bellissima commedia  che si chiama vita...e senza avere un copione.