venerdì, ottobre 31, 2014

Che giorno è oggi?


Il tempo scorre così velocemente nel mondo frenetico di oggi che spesso non sappiamo che giorno sia, e non parlo del numero, il calendario ormai è un ogetto misterioso, come l'orologio, ma del giorno della settimana. Ieri era lunedì, oggi è venerdì.
Quando ho vissuto il resto dei giorni? 
La settimana è passata e io dove mi trovavo?
Possibile che non mi sia accorto delle 24 ore di ogni singolo giorno?
Non sono un dormiglione, dormo perché devo farlo, quindi come ho fatto a perdermi tutto questo tempo? Come mai non mi sono accorto che tutto stesse andando avanti nonostante io non stessi guardando neanche l'orologio.
Colpa delle nostre vite piene di eventi se non ci accorgiamo di quante cose stiamo realmente facendo? Facciamo talmente tante cose che ci sembra di non fare nulla?
Occupiamo così tante ore della nostra giornata che non ci accorgiamo che sono già passate?
Che giorno è oggi? 
Venerdì? Ma ieri non era sabato? No cioè domenica? Mi ricordo che mi sono svegliato lunedì e ho sperato che non arrivasse giovedì. Oggi e venerdì, e pensavo che giovedì non sarebbe mai trascorso.

American Horror Story - Freak Show 4x03 & 4x04


American Horror Story decide di regalarci uno special di Halloween che dura ben due episodi, e la notte degli orrori non potrebbe iniziare meglio: due nostre vecchie conoscenze, Denis O’Hare e Emma Roberts tornano ancora per la quarta stagione dello show e ovviamente entrano di diritto nei nostri cuori senza troppi preamboli. I due infatti sembrano formare una coppia ambigua che ha escogitato un macabro espediente per fare soldi: trafugare e rivendere veri propri organi di freaks. Genialità uno, tutte le altre serie tv zero. 

Palla al centro.

Il terzo episodio si apre anche con una nota triste: quest’anno il ruolo di malata terminale è toccato alla sempre più superba Kathy Bates che non si lascia che qualche secondo per elaborare la notizia. Il pianto cui si abbandona sul lettino del medico infatti non è per il suo destino segnato, quanto per tutte quelle piccole attenzioni che i normali danno per garantite e scontate, ma che la donna barbuta si trova a ricevere solo dopo molti anni, e proprio nel suo giorno peggiore. Chapeau. 

Ma diciamolo, cosa sarebbe la puntata di Halloween senza una bella storia di fantasmi? E’ sempre la voce della Bates che ci regala una delle superstizioni più terrificanti del mondo dei freaks. La spaventosa leggenda narra che nessun loro spettacolo può andare in scena la notte Halloween, altrimenti lo spirito di Edward Mordrake, freak d’altri tempi con un volto demoniaco ben alloggiato nel retro della sua testa - solo io noto un vaghissimo, proprio minimo, richiamo a Harry Potter? - porterà con sé nell’Aldilà uno dei freak. 
Meep me l’hanno già preso, ora per me possono pure fare un full time show di 24 ore. 

Intanto in casa Mott si sta consumando la tragedia: il piccolo, dolce e tenero Dandy non ha ricevuto il costume di Halloween che desiderava, e ormai dopo solo 4 puntate nelle sue reazioni c’ha abituati a grandi cose, ma va detto, questa è fantastica. Cosa fa il piccolo disturbato Dandy, normale fuori e Re dei freak dentro? Urla, spacca tutto e pesta i piedi? Anche, ma non solo. Del resto il suo migliore amico docet, chi fa da sé fa per tre, così Dandy si ritira nelle sue umili stanze dove confeziona un meraviglioso costume con le sue manine d’oro. E quale miglior tributo alla sua eterna fonte di ispirazione se non mascherarsi come lui? Non basta che uno scampolo di tenda rossa su una sofisticatissima camicia lucida e Dandy si trasforma nella copia sbiadita e meno lercia di Twisty il Clown. Per ora l’anima del Clown deviato l’ha catturato solo in parte. Dandy riesce solo ad assumerne le sembianze ma per i delitti non basta la maschera calata sul volto, serve il buio dentro.

E tra un punto croce e l’altro intanto Emma Roberts si fa strada nel tendone più ambito di Jupiter, dove c’è un via vai di richieste di assunzione che nemmeno Eataly all’apertura. Su consiglio del furbo Stanley, la Roberts si presenta al cospetto di Elsa Mars come veggente. Il piano prevede che la Roberts, Maggie Esmeralda in questa quarta stagione, spiani la strada al suo compare predicendo all’inguaribile credulona un futuro illuminato dal successo, in cui è di vitale importanza la figura di un misterioso straniero che la porterà alla ribalta. Ingegnoso. 
C’è da dire però che quel misterioso straniero, mentre la bella copia di Wanna Marchi si destreggia tra i freaks, ammazza il tempo nelle camere di motel da quattro soldi con baldi giovani che restano senza parole di fronte alla sua…”qualità” da freak. Ma sapete come si dice, finché non vedo non credo.

Cala la notte e nel tendone di Elsa Mars non sia mai che si tremi di terrore di fronte a un’antica superstizione. Anche i riflettori puntati dall’aldilà sono per la nostra amata tedesca un richiamo troppo forte, e mentre lei ci canta della sua “Innocence lost…” un fumo verde preannuncia l’arrivo di Mordrake. Perché effettivamente un fantasma con un demone accoccolato nel retro della testa non era abbastanza trash, ci vuole pure la nebbietta verde che lo segue in ogni dove. Ogni tanto qualche appunto lo devo pure fare, che se no sembro di parte.

Mordrake fa visita alla Bates, e sinceramente una puntata dove si affonda così tanto nel suo personaggio è un piacere per i sensi. Se l’episodio si è aperto con la condanna sul suo futuro, é la vergogna sul suo passato a chiuderlo. Ethel Darling altro non è che una donna barbuta il cui sogno di gloria, alimentato dalle ambizioni dell’allora compagno Dell, l’uomo forzuto, si è trasformato in disgrazia e miseria. Una donna disperata che si è lasciata convincere da un uomo senza scrupoli a dare in pasto la nascita di suo figlio a una folla di curiosi perversi, esponendo il piccolo allo sfruttamento “right from the start”. Il dolore della donna è sincero e Mordrake non riconosce in lei la sua vittima prescelta. 

Il quarto episodio continua sulla scia del terzo, usando l’espediente di Mordrake che vaga di tenda in tenda in cerca del freak da portare con sé per farci conoscere meglio la psicologia dei personaggi e il loro passato. Il muro che la società ha messo loro davanti li ha segnati con più ferocia di quanto abbia fatto la deformità stessa condannandoli allo spietato destino di dover commettere qualcosa di deplorevole, prima o poi. Uno dopo l’altro, consegnano le loro vergogne e il loro dolore puro al demone, ma nessuno sembra avere ciò che lui cerca. The true darkness.

Ultima freak ad essere sottoposta a suo giudizio insindacabile non poteva essere che Elsa Mars. Lei, che nemmeno davanti a un demone e a un così palpabile presagio di morte smette di vaneggiare blaterando del suo talento, custodisce un passato sadomaso nella Germania anteguerra. E diciamocelo, noi fedelissimi da 4 anni aspettavamo questa scena dalla prima serie. Finalmente Jessica Lange versione panterona dominatrice con i resti di quello che fu l’abito dell’indimenticabile Uomo Tutina. Quanta poesia in una manciata di scene. 
E in una manciata di secondi, quanto dolore. L’espediente di mostrarci il taglio delle gambe attraverso una vecchia cinepresa traballante risparmia qualcosa sulla tragedia che si consuma davanti a noi, ma non evita di lasciarci un magone dentro che si infiamma con le urla della Mars che ancora riecheggiano a scena conclusa. Il tutto sublimato poi alla fine, quando ormai lei accetta di non avere nient’altro per cui valga la pena vivere, implorando Mordrake di prenderle la vita. 

Ma il livello da raggiungere è ancora un altro. Il fantasma infatti non può prendere la vita di Elsa quando un assassino travestito da Clown si aggira indisturbato nei paraggi. Twisty il Clown non è sempre stato un killer spietato e un rapitore seriale. Prima di sfigurarsi e prendere le sembianze dei nostri incubi più terrificanti, Twisty era un clown buono, che amava i bambini ed era bersaglio dello scherno dei freaks. Esasperato dalle bugie sulla sua condotta poco appropriata con alcuni bambini, il clown era stato costretto a ritirarsi. Ma non poteva vivere senza far ridere, non poteva vivere senza uno spettacolo. Così, dopo aver fallito anche il tentativo estremo di sottrarsi da una vita senza felicità, aveva deciso di prendersi quel che voleva con la forza, in modo perverso. Mentre racconta la sua storia, e rivela allo spettatore il suo vero volto e il suo dolore, non c’è rimorso nelle sue parole, non c’è vergogna nei suoi ricordi. E’ qui che Mordrake riconosce in lui il prescelto, e lo porta con sé. Dove tutti i nostri incubi hanno principio e dove tutti i nostri incubi tornano, dopo averci turbato la notte. 

La notte di Halloween lascia il posto a un’alba rosea: Jimmy è il nuovo eroe, colui che ha salvato gli ostaggi del perfido killer, l’inesauribile fiamma di speranza che accende i sogni di gloria di Elsa trova nuovo vigore dall’arrivo di Stanley e la svolta che tutti noi stavamo aspettando si materializza, ancora una volta bellissima, ancora una volta spiazzante, confermando sempre più il valore di una stagione che dopo il quarto episodio non smette di essere credibile, pur nella sua più completa pazzia. 

Con la morte di Twisty - l’ho già detto che Ryan ammazza sempre i miei preferiti? - la bromance più malata della storia si interrompe, il Twandy si è consumato rapidamente come il più tenero degli amori adolescenziali. Ma la storyline di Dandy non è che all’inizio. Morto Twisty, è tempo per la sua terribile quanto interessante transizione: da copia sbiadita a nuovo clown assetato di sangue il passo è breve, basta allungare la mano, rubare una maschera terrificante e tagliare la gola alla propria cameriera. Che nell’uccidere persone indifese abbia trovato finalmente il passatempo che non lo annoia? 

Siamo a metà del Freak Show ma molto ancora deve succedere, altre vecchie conoscenze torneranno di diritto e qualche nuova figura si staglia già all’orizzonte.


A proposito, avete sentito che il Freak Show sta per diventare legen….wait for it…dary?!

mercoledì, ottobre 29, 2014

I racconti di Halloween: Halloween tra i cimiteri più famosi

Cosa ne pensate di un macabro tour tra lapidi, bare, lanterne e una buona dose di brivido nei cimiteri più famosi?
Halloween è dietro l'angolo e lo spirito spettrale, macabro della festa inizia ad aleggiare nell'aria. Se vi sentite troppo vecchi per il classico dolcetto e scherzetto e avete voglia di provare l'ultima frontiera del macabro; perchè non vi avventurate alla volta dei più bei cimiteri?

Tra lapidi, spettacolari architetture, tra tombe di famosi artisti e di sconosciuti, tra candele e tanto coraggio, ecco che, per il prossimo Halloween vi proponiamo un tour da brivido nei più bei cimiteri del mondo.

Pere Lachaise, Parigi - Nel ventesimo arrondissment, il Pere Lachaise è tra i cimiteri più visitati al mondo, forse perchè conserva le spoglie di grandi artisti ed è meta continua dei fan dell'eclettico leader dei Doors, Jim Morrison. Appena varcata la soglia ritirate la guida al cimitero, che vi permetterà di orientarvi nel labirintico alternarsi di lapidi;  per una visita delle tombe più famose. Il cimitero è diviso in settori, la parte inferiore del cimitero è un intricato percorso di tombe e sepolcri, divisi da sentieri in terra battuta e viali con ciottoli mentre quella parte superiore è molto più geometrica. Perdetevi tra i vialetti pieni di foglie e scoprite le meravigliose architetture che animano il luogo; un paradiso artistico che celebra con statue e solenni lapidi i più grandi personaggi dell'arte e della storia. Nel più grande cimitero cittadino potrete trovarvi davanti la tomba di Chopin, quella di Balzac, di Proust, della cantante Maria Callas e del grande genio di Oscar Wilde. Il cimitero è aperto ogni giorno dalle 8 alle 17:30. 

Hollywood Forever Memorial Park, Los Angeles - A due passi dai Paramounth Studios, se vi concedete un viaggio a Los Angeles, non perdete il più stellato e pittoresco cimitero delle star del jet set. Il cimitero alle pendici dell'Hollywood Sign, che nel periodo estivo è sede di proiezioni cinematografiche, conserva le spoglie di personalità celebri come Rodolfo Valentino, il gangster Bugsy Siegel e il musicista Johnny Ramone. Il celebre cimitero hollywoodiano è stato inoltre sede di molte pellicole tra cui Hot Shots e LA Story. Prima di partire, guardate il documentario sul cimitero dal titolo The Young and the Dead. In questo enorme cimitero composto da due enormi mausolei, dove spiccano imponenti vetrate colorate e da innumerevoli tombe all'aperto, avrete bisogno di una guida per individuare i luoghi dovo sono sepolte le grandi star; all'ingresso di fianco al negozio di fiori vengono distribuite guide e mappe ai curiosi che vorranno intraprendere un tour del cimitero. Raggiungete il laghetto, una vera oasi di pace nel silensioso luogo di culto dove potrete riposarvi dopo il lungo cammino. Aperto dal lunedì alla domenica dalle 7 alle 18.


Zentralfriedhof, Vienna - Dopo quello di Amburgo è il cimitero più grande di tutta Europa e al suo interno ospita una vera e propria sezione dedicata ai musicisti. Passeggiando lungo questo cimitero potrete trovarvi dinnanzi le tombe di Ludwig Van Beethoven e di Franz Schubert che si andarono ad aggiungere a quelle di Brahms e degli Strauss. Passeggiando per il grande cimitero, troverete anche il grande monumento dedicato al genio di Mozart ma non è una tomba perchè l'artista è stato sepolto nel piccolo cimiterio di St Marx, nel Leberstrasse. Se arrivate dal centro città dovrete attraversare il secondo portone, quello principale per trovarvi di fronte l'imponente chiesa di San Borromeo.Dirimpetto alla chiesa commemorativa si trova la cripta in cui sono sepolti dal 1945 tutti i presidenti federali (Renner, Körner, Schärf, Jonas). Per raggiungere il cimitero, prendete il tram numero 71. Per ottenere una piantina esatta del Cimitero Centrale e dei sepolcri d'onore annessi basta rivolgersi al custode del 2° portone. Orari di apertura dalle 7 alle 17. 

Highgate, Londra - Nel quartiere londinese di Highgate, se vi concedete un halloween tutto londinese, non perdete l'appuntamento con bellissimo cimitero che è stato iscritto nel Registro dei Parchi e Giardini di speciale interesse storico in Inghilterra. Tra imponenti architetture gotiche e spazi verdi, vi ritroverete di fronte alla famosa e tanto visitata lapide che porta l'iscrizione "Proletari di tutto il mondo unitevi": non avete alcun dubbio che si tratta della tomba di Carl Marx. Tra i tanti personaggi celebri che riposano in questo cimitero potrete inoltre trovare George Eliot e Christina Rossetti,Herbert Spencer e la tomba dello scienziato Michael Faraday che ha per omaggio un cratere sulla luna. Nel 1862 nel cimitero di Highgate venne sepolta la moglie di Dante Gabriel Rossetti il quale gettò nella bara un libro di poesie a lei dedicate. Sette anni dopo la salma venne riesumata e quello che tornò alla luce era il corpo perfettamente integro della donna. Questo evento diede vita al pensiero comune che nel cimitero vivesse un vampiro. Per costi ed orari visitate il sito ufficiale del cimitero highgate-cemetery.org. 

Cimitero Ebraico, Praga - Uno dei più antici ed importanti cimiteri d'Europa che fu risparmiato dalla furia distruttrice di Hitler, nella seconda guerra mondiale e che per oltre 300 anni l'unico luogo dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti.  Il grande numero di lapidi gotiche, rinascimentali, barocche addossate le une alle altre, il silenzio del luogo e la scarsa illuminazione creano un clima davvero spettrale. Le lapidi, costruite in pietra, sono tutte piantate nella terra, non esistono foto ma ogni lapide è contrassegnata da disegni simbolici e da incisioni sulle qualità del defunto. Oggi si contano circa 12.000 lapidi, ma si ritiene che vi siano sepolti oltre 100.000 ebrei.  La tomba più visitata è quella di Rabbi Löw, dove i visitatori lasciano sulla lapide i tradizionali sassi, oltre a monete e biglietti con su scritti i desideri.

lunedì, ottobre 27, 2014

Les Poètes Maudits


Ammettetelo, tutti a scuola, specie i più ribelli, amavano parlare dei poeti maledetti, a volte anche non capendo di chi si stesse parlando, solo perchè attratti dal nome, e da questo loro essere drammatici come un adolescente in piena crisi amorosa. Ma in realtà chi sono i poeti maledetti?

La definizione di "poeti maledetti" si deve a un'antologia, curata da Paul Verlaine (1844-1896), intitolata Les poètes maudits (= "I poeti maledetti"), pubblicata nel 1884. L'antologia, che ebbe due edizioni, conteneva testi, tra gli altri, di Stéphane Mallarmé (1842-98), Arthur Rimbaud (1854-91), e Tristan Corbière (1845-75), oltre che dello stesso Verlaine. Sebbene Verlaine negasse qualsiasi carattere unitario e di "scuola" ai poeti inclusi nell'antologia, come anche a quelli a cui egli aveva dedicato una serie di biografie, pubblicate dal 1886 al 1892 con il titolo Les hommes d'aujourd'hui (= "Gli uomini d'oggi"), è indubbio che in un certo ambiente letterario, di cui Verlaine è stato più che altro un catalizzatore involontario, è riconoscibile, tra decadentismo, parnassianesimo, simbolismo e loro coscienza critica, una fucina di irradiamento della poesia moderna.

La stella è pianto rosa al cuore delle tue orecchie,
l'infinito è rotolato bianco dalla tua nuca ai reni
il mare ha imperlato di rosso le tue vermiglie mammelle
e l'Uomo ha sanguinato nero al tuo sovrano fianco.
(Arthur Rimbaud)

La "maledizione", nel suo senso più generalizzabile, consisteva nella separatezza e nella marginalità a cui il poeta, nella nascente società di massa, si sentiva costretto e di cui aveva consapevolezza e, si potrebbe dire, desiderata esperienza. Simile condizione produceva un declassamento, una perdita di ruolo che diventava fattore di ribellione e di riscatto estetico, a volte disperato e estremo, come nella sregolatezza "spontanea" dello stesso Verlaine, a volte lucido e malinconico, come nella denuncia della "perdita d'aureola" operata già da Charles Baudelaire (1821-67) in Le spleen de Paris. Non di rado i poeti maledetti, investendosi di ciò che Baudelaire chiamava la "tendenza essenzialmente demoniaca" dell'arte moderna, erano inclini a mettere in gioco la propria vita intera alla ricerca di una intensificazione, anche attraverso l'uso di alcol e di droghe, delle sensazioni, dell'esperienza e della conoscenza. Rimbaud fu una delle figure esemplari, dal punto di vista biografico, di tale inclinazione autodistruttiva: morì infatti a soli 37 anni dopo una vita irrequieta e sregolata. Nella scrittura tali caratteri, sostenuti da una poetica della quintessenza e della veggenza, dei sensi e dell'illuminazione, hanno conseguenze sia tematiche sia formali. La parola poetica viene caricata di un potere magico, straniante e incantatorio, sia che essa rappresenti una separazione dal mondo, sia che voglia costruire un mondo. Si cerca una sua musicalità interna, moderando artifici meccanici come la rima e i parisillabi; si amano le sfumature, più che i colori, poiché solo la sfumatura, come dice Verlaine in Arte poetica (1874), "fidanza / il sogno al sogno". Si valorizza la figura del poeta che diventa veggente, in grado di penetrare una verità oscura e infinita. Si cerca un rapporto con il mondo puramente sensuale, non più mediato dalla ragione, che si esprime in una fusione "di sogno e precisione".

In questa direzione si era mosso Paul Verlaine già a partire dalla sua prima raccolta del 1866, Poèmes saturniens (= "Poesie saturnine"), ispirata a Baudelaire. Verlaine definisce i suoi versi al tempo stesso "già vecchi" e "già musicali", cioè preludio del Simbolismo. La sua poesia influenzerà diversi poeti, da M. Maeterlinck a F. Jammes. Anche D'Annunzio deve molto al sensualismo al tempo stesso religioso ed epidermico, tra Saffo e Santa Teresa, di Verlaine. L'influenza di Rimbaud sarà anche più vasta, per la radicalità con cui il poeta disgregherà le impalcature sintattiche della lingua, i legami logici e cronologici, le tradizionali modalità della narrazione e della descrizione, fino ad essere preso come modello anche dai movimenti d'avanguardia. Del 1886 è il Manifesto del Simbolismo, pubblicato sul "Figaro" da Jean Moréas, da cui nasce ufficialmente una poetica che eredita e raccoglie alcuni degli assunti fondamentali che si erano andati precisando negli anni precedenti. Essa, nelle sue differenti sfumature e nelle reazioni suscitate, dominerà il periodo a cavallo fra i due secoli e influenzerà in larga misura la poesia del Novecento.

Le rose erano tutte rosse
e l’edera tutta nera.

Cara, ti muovi appena
e rinascono le mie angosce.

Il cielo era troppo azzurro
troppo tenero, e il mare

troppo verde, e l’aria
troppo dolce. Io sempre temo

- e me lo debbo aspettare!
qualche vostra fuga atroce.

Dell’agrifoglio sono stanco
dalle foglie laccate,

del lustro bosso e dei campi
sterminati, e poi

di ogni cosa, ahimé!
fuorché di voi.

(Spleen di Paul Verlaine)

I racconti di Halloween: Yotsuya Kaidan


Una storia che ha come protagonista un fantasma ed è famosissima tra tutti i Giapponesi, sopratutto per la sua trasposizione del 1835 in un dramma kabuki dal titolo Yotsuya Kaidan, è la storia di una ragazza che si chiama Oiwa che sposa un ronin (samurai senza padrone) e che vede la sua vita sconvolta dopo la nascita di un figlio dal fatto che il marito si trova un'amante e per sposarla lasciando la povera Oiwa non trova niente di meglio se non avvelenarla pian piano provocandone una vera e propria trasfigurazione del volto, fino alla morte; il fantasma rancoroso provoca così morte e sciagura sulla famiglia del ronin manifestandosi spesso sotto forma di lanterna mostruosa.

Per questo accanto al santuario Shintoista Oiwanari a Shinjuku è stato costruito un tempio buddista a placare lo yurei e dove si va a pregare quando non si vuol vedere davvero mai più una qualche persona che ci ha nuociuto.
Questa è la storia, così come la trovate descritta al tempio in questione, ma se avrete modo di leggere il testo teatrale, o di vederlo vi accorgerete di come il drammaturgo, su questa base abbia poi unito altri fatti di cronaca efferati che avevano attirato la fantasia del pubblico, facendone così un'altra storia, dove solo alcuni fatti si ritrovano.
Prima di rappresentare questo dramma è buona abitudine andare al tempio Myogyo-ji dove è la tomba della poveretta a chiedere il permesso di metter in scena la vicenda.
La figura deforme del fantasma di Oiwa è molto nota in Giappone ed è spesso stata raffigurata anche da famosi pittori come Shunbaisai Hokue, che appunto dipingeva per stampe legate al teatro kabuki o ai più famosi Utagawa Kuniyoshi e Katsushika Hokusai oltre a tanti altri pittori della cultura popolare nipponica ed è stata argomento di una trentina di traposizioni cinematografiche dalle origini del cinema stesso in Giappone.

sabato, ottobre 25, 2014

Gabriele D’Annunzio - La pioggia nel pineto


La pioggia nel pineto - forse uno dei testi dannunziani più celebri e noti - viene scritta con ogni probabilità nel luglio-agosto del 1902, quando Gabriele D’Annunzio e la compagna Eleonora Duse soggiornavano alla “Versiliana”, villa signorile presso Marina di Pietrasanta (Lucca), tra Forte dei Marmi e Viareggio. La spiaggia e la pineta che fanno da scenario al canto dannunziano dovrebbero essere quelle di Marina di Pisa, ad una cinquantina di chilometri dalla “Versiliana”.

Strofe di lunghezza variabile, che mescolano versi di misure molto diverse (si va dal ternario al settenario, dal quinario al senario e all’ottonario, fino al novenario; alcune coppie di versi ricompongono poi la misura dell’endecasillabo), tutte chiuse dal nome di “Ermione”. Le rime sono sparse, e spesso sostituite dall’assonanza. Praticamente costante il ricorso all’enjambement che, come anche nella Sera fiesolana, serve a distendere il discorso e il ritmo su più versi. 

Siamo sul litorale versiliese, nella pineta di fronte al mare. Durante una passeggiata, il poeta e la sua compagna, Ermione, sono sorpresi da un temporale estivo. Prima lui e poi entrambi si tendono ad ascoltare la pioggia, fino ad abbandonarsi internamente alle voci della natura: un canto di cicale, il gracidare delle rane, sotto lo scroscio sempre più intenso. Ebbri di pioggia, i due amanti si compenetrano con la vita vegetale, risvegliata intorno a loro dal temporale estivo.
Da questo esile spunto narrativo di partenza D'Annunzio ha costruito il suo invito ad ascoltare, ad assaporare fino in fondo il grande canto della natura: una voce interpretata e immortalata dalla parola poetica, la favola bella che ieri m'illuse che oggi t'illude , o Ermione.

Due sono i motivi conduttori del testo.
Il primo è il motivo panico e antropomorfico, ovvero la graduale assimilazione del poeta e della sua compagna nella fresca e rigogliosa vita vegetale, che avviluppa i loro corpi e il loro essere. Siamo davanti a una delle tipiche metamorfosi cantate in Alcyone. Essa comporta sì un passaggio, un mutamento di condizione, ma nel senso che l'individuo si reifica (diviene cosa), mentre la natura si antropomorfizza (si umanizza). Non c'è dunque superamento in senso verticale, come invece accadeva ad alcuni esseri, uomini o animali, celebrati dall'antico poeta Ovidio nelle Metamorfosi che venivano associati in cielo agli dei.
L'altro è il motivo dell'amore. Sotto la pioggia battente si svolge infatti un gioco incessante di fughe e lontananze, di ritorni e abbandoni: i due innamorati si cercano, si lasciano, s'inseguono, senza sosta. La libertà di questo gioco è la stessa del cadere fitto delle gocce nella pineta. Perciò il componimento non è solo un gioco di musica o un quadro di metamorfosi; è una danza o una fuga sul tema dell'amore gioco, sull'amore illusione, che appare e svanisce senza fine e che aspira al totale compenetrarsi dei due amanti, senza raggiungerlo mai.
 Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani

ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

venerdì, ottobre 24, 2014

Baudelaire: il signore della Decadenza

“E' il Diavolo a tirare i nostri fili!
Dai più schifosi oggetti siamo attratti;
e ogni giorno nell'Inferno ci addentriamo d'un passo,
tranquilli attraversando miasmi e buio.” (da Al lettore)

E' la Decadenza che attraversa il tempo in cui vive Charles Baudelaire, quel senso di impotenza nei confronti di ciò che accade all'esterno, nel mondo, nella società in cui si vive, che corre frenetica verso il progresso. E' quell'angoscia che l'uomo avverte dentro di sé, o quel demone che mangia la sua anima, è il senso di pessimismo nei confronti di una civiltà sviluppata, è l'impossibilità di reagire a tutto questo.
Quella Noia (Spleen) che lentamente consuma il mondo, lo soffoca, fino a far dimenticare perché l'uomo sia uomo, perché il poeta sia poeta. Baudelaire vive in un'epoca, la seconda metà dell'Ottocento, in cui l'artista ha perso la sua identità e il suo ruolo all'interno della società, e si sente simile a un pagliaccio, a una ballerina, o a una prostituta; è un albatro che vola alto nel cielo ma è “esule in terra fra gli scherni”, non può planare sul mondo perché questo ride di lui, lo dipinge di ridicolo, lo emargina.
Sperimenta gli abissi del male da cui vorrebbe risalire ma non può.
“Com'è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E' comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!

Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l'uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali da gigante.” (da L'albatro)

Tutto questo è presente nella sua più grande raccolta Les fleurs du mal (1857), dove Spleen e Ideale sono in perenne tensione, in una lotta che non concilia più ciò che è ideale da ciò che è reale e inesorabilmente lascia che si cadi nel tedio dell'esistenza.
Baudelaire vede se stesso come un poeta anonimo, un poeta che ha perduto la sua aureola (poemetto Perdita d'Aureola) ma ne è felice: è la consapevolezza di tale perdita che determina la modernità e la qualità della poesia.
In un susseguirsi di prosa e poesia, di comico e sublime, Charles Baudelaire crea l'arte della dissonanza, un processo nuovo e moderno. Lui che è il padre della poesia definita tale.

Tuttavia la specificità della poesia stessa fu ricercata non sono nel linguaggio ma anche nel campo più vasto e comprensivo dell'immaginazione.
“Solo l'immaginazione”, egli scrisse, “contiene la poesia.”
Solo l'immaginazione del poeta può infatti ordinare la natura, può riunire in un'unica armoniosa percezione intellettuale quell'universo che i nostri sensi percepiscono come incoerente e contraddittorio.
“Io voglio illuminare le cose con il mio spirito e proiettarne il riflesso sugli altri spiriti.” Baudelaire è colui che traduce i “simboli” del mondo e “le corrispondenze” della natura, i sottili misteriosi legami attraverso i quali “i profumi, i colori e i suoni si rispondono”. (da Corrispondenze)

Così Modernità e Decadenza si stringono la mano. Così Charles Baudelaire rende viva la realtà in cui l'uomo è perso.
“Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente nel mio cuore: Speranza
piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra,

va a piantarmi sul cranio la sua bandiera nera.” (da Spleen)

I racconti di Halloween: La Leggenda di Bloody Mary


Bloody Mary è un fantasma o una strega tipica del folklore del mondo occidentale, evocata per rivelare il futuro. Si dice appaia in uno specchio quando il suo nome viene invocato più volte, secondo diverse modalità. È associata ai giochi di atmosfera horror delle feste notturne giovanili. Altri nomi utilizzati per il personaggio sono Mary Worth, Mary Worthington, e Hell Mary.
La leggenda narra che un giorno una ragazza di circa 14 anni di nome Mary Stewart, che viveva in una cittadina degli Stati Uniti, si ammalò di tifo; il padre, un medico, sapeva che era ancora viva, come sapeva che doveva seppellirla subito. Disse a tutti che era morta, anche se era solo addormentata, ma la madre, sconvolta dal dolore, le legò uno spago al polso, collegato ad un campanello appeso alla porta di casa, in modo da poterla sentire se si fosse "risvegliata". Il padre, per perseguire il suo malvagio piano, somministrò della morfina alla madre, in modo che non potesse sentire i disperati scampanellini di Mary. La mattina seguente, trovarono la campanella per terra: si precipitarono a disseppellire il cadavere, ma Mary era morta davvero stavolta, assiderata, con le mani coperte di sangue e le unghie attaccate al coperchio della bara che invano aveva cercato di sollevare.
Nel folklore e nella cultura per l'infanzia, "Bloody Mary" è un gioco in cui una mamma incinta con lo stesso nome (o, talvolta, altri nomi, come ad esempio "Mary Worth") si dice appaia in un letto, quando il suo nome viene invocato tre volte, anche se ci sono molte varianti. Altre variazioni dicono che chi invoca Bloody Mary deve guardarla nel riflesso dello specchio, e lei ti predirrà 7 anni di futuro. Altrimenti, andrai in coma 4 giorni e il 5° morirai. Ma le leggende più popolari su di lei sono quelle dell'America del Nord, le quali si riferiscono a Mary come una ragazza morta in un incidente d'auto, o una ragazza sepolta viva dai suoi stessi genitori. Le credenze sono tante.
Bloody Mary viene descritta di solito come una bambina-assassina che ha vissuto nella città dove la leggenda è nata anni fa. D'altro canto, varie persone hanno ipotizzato che la tradizione di Bloody Mary con il suo bambino possa esser messa in relazione a Maria I d'Inghilterra, divenuta regina dopo la morte del fratello Edoardo VI. Ella riportò in Inghilterra la religione cattolica e mise al rogo tutti i protestanti, fu ricordata così con l'appellativo di Bloody Mary.

giovedì, ottobre 23, 2014

Baustelle, Amen

All’interno del disco, nel libricino in dotazione, tra i ringraziamenti  e le brevi digressioni c’è anche questa frase: "Questo disco va suonato a volume molto alto e, se possibile, non va usato come sottofondo". Quando la lessi per la prima volta mi incuriosì non poco. Pensavo fosse una loro espressione a effetto per invitare l’ascoltatore a prestare attenzione ai loro testi, perdesi nella psicheledia delle note. Altre volte pensavo invece che fosse semplicemente un’uscita campata lì come trovata pubblicitaria.
Il tutto, fino a una notte ben precisa. Lasciamo perdere cosa avvenne prima, basta sapere che a un certo punto di questa fatidica notte rientrai in casa. Fu uno di quei rientri in cui anche se avessi accesso un faro da stadio, non avrei potuto evitare di urtare in ordine: mobili, soprammobili, stipiti delle porte, angoli sconosciuti della casa. Oltre ai problemi di equilibrio, si aggiunse ben presto quello strano senso di malessere che può aver provato chiunque si sia mai trovato in una piccola barchetta in mezzo ad una tempesta atlantica, oppure semplicemente per aver indugiato troppo con pseudo amici etilici. Scansai quindi l’ipotesi immediata del letto per paura di alimentare queste sensazioni.
Bhè, sta di fatto che attaccai la musica, per farmi compagnia. Il volume credo fosse alto. Molto alto. Le cuffie sputavano fuori l’album dei Baustelle, Amen. E per la prima volta capii fino in fondo il loro consiglio, stampato ben visibile. Sono sopravvissuto a quella notte grazie ai testi e alla musica, ai mille strati di ascolto che mi proponeva, come uno spettatore pagante davanti alle molteplici opere di un museo, concentrato solo su di loro. 
Amen rappresenta il quarto album della band toscana. Il secondo con una major. Per gli integralisti indi-rock sancisce la definitiva uscita dal quel sottobosco musicale fatto di eroi silenziosi, ma per il grande pubblico è la consacrazione.
Ho sempre trovato in questo album una sorta di equilibrio tra i testi e la musica. Non c’è mai un tentativo di una delle parti di prevaricare l’altra. E questo mi tranquilliza sempre. Possiamo intenderlo come un evoluzione dei precedenti lavori - è vero -, tanto da ritrovare arraggiamenti simili e schemi narrativi ripercorribili tra i vari album. Forte però è il profumo della lirica di Battiato e dei Bluvertigo, giusto per citarne due, ma sarebbero molteplici le citazioni degne di nota. C’è chi si è spinto fino alla critica più aspra, riducendo questo lavoro a una mera imitazione di artisti più completi e affermati. Per quel che mi riguarda ho sempre trovato spunti di originalità in ogni scelta, soprattuto dei testi, ed è per questo che continuo nell’ascolto esattamente come quella notte. 
In tutto l’album troviamo un’attenzione spasmodica alle dinamiche della società contemporanea. Dal romanticismo di L, alla critica sociale di Colombo. E’ un continuo alternarsi di apatia, fallimenti e inquietudine da una parte, e riscatto, vie di uscita dall’altra. Esattamente come di critica e speranza.
In Baudelaire per intenderci, forte è il richiamo al concetto di vita-morte, attraverso lo stesso esempio del poeta decadente che ci presta il nome per intitolare il pezzo, e altri esponenti, da Socrate a Tenco, tutti morti per noi, per ribadire la ricerca della vera sopravvivenza e la salvezza nello scrivere.
Il singolo più celebrato è forse “Charlie fa surf”. In merito a questo pezzo il suo autore, Bianconi, disse: l’ho scritto dopo una visita al Museo di Arte Contemporanea di Rivoli dove ho visto un'istallazione: ‘Charlie Don’t Surf’ di Maurizio Catelan”. A sua volta quest’opera è liberamente tratta (come direbbero quelli bravi nel commentare) dalla omonima canzone dei Clash. Troviamo in questo pezzo tutta la foga della ribellione di un ragazzo che soffre, ribellione contro valori di una società che non lo rappresenta, della religione e della famiglia. E’ al tempo stesso un inno decadente e una richiesta di aiuto.

Ora mollate qualsiasi cosa in cui eravate impegnati, alzate il volume al massimo e buon ascolto!

Petronio, elegantiae arbiter


Per quanto riguarda la vita di Petronio non abbiamo fonti certe, ma possiamo ricavare una biografia, e dedurne il suo carattere, dalle descrizioni fatte da Tacito negli Annales, e da Des Esseintes in Huysmans di Joris Karl Huysmans, nel quale Petronio viene considerato il primo "dandy" della storia.

Tacito ci racconta cose curiose sulla vita di Petronio, il quale dormiva di giorno e lavorava di notte, era un raffinato uomo di mondo a differenza dei suoi contemporanei, e viveva liberamente non curandosi delle sue azioni. Petronio non rinunciava mai ai suoi vizi, ed era così elegante che Nerone considerava di classe solo ciò che faceva lui.
Fu coinvolto in una congiura da uno schiavo che lo denunziò, per screditarlo agli occhi di Nerone.
Anche gli aneddoti legati alla sua morte sono molto bizzarri, infatti durante il suo suicidio si fece chiudere e riaprire le vene più volte, si fece leggere testi licenziosi, e raccontò aneddoti che avrebbero potuto screditare Nerone.

Des Esseintes ci dice a riguardo di Petronio che era acuto osservatore e fine analista. Attraverso le sue opere mostrava la sua grandezza, rendendo noti i suoi scandali e costumi.
Era un realista, e riusciva a rendere il tutto così perfetto e reale senza però mai lasciarsi andare ad un commento.

Oltre a questi autori che hanno riscritto, interpretato e tramandato la vita di Petronio anche altri autori e filosofi hanno descritto e/o espresso un loro giudizio su questo misterioso uomo, tra queste fonti possiamo ritrovare Nietzsche, Auerbach e Canali.
Dopo un confronto tra quanto scritto da questi tre grandi scrittori, e le altre fonti, possiamo ricavare un ritratto di Petronio molto vicino a quello di un dandy.
Petronio con il suo stile di vita, e con il suo modo di fare, anticipa di molti secoli questa figura, che sarà una delle più importanti a partire dalla seconda metà del XIX secolo, fino al XX secolo.
Analizzando a fondo la sua opera e mettendola in relazione con le ricostruzioni, possiamo notare che Petronio, come il classico dandy, ricalca nella sua opera la corruzione e la decadenza della società, mentre come persona riflette i canoni dell'estetismo.

I racconti di Halloween: Yama-Uba


Yama-Uba, chiamata anche la strega della montagna, è un demone proveniente dal folklore giapponese che vive in una capanna tra le montagne e si ciba di chiunque sia abbastanza sventurato da incontrarla.
Si tratta di una strega dall'aspetto abominevole, con lunghi capelli incolti e ingialliti, occhi penetranti e una bocca larga quasi quanto l'intero volto.
La leggenda racconta che questa strega era un tempo una donna anziana che viveva in un piccolo villaggio in Giappone. La zona fu colpita da una terribile carestia e per poter conservare il poco cibo rimasto, i suoi figli decisero di non sfamarla più e di liberarsene, portandola fuori dal villaggio e abbandonandola nei boschi dove sarebbe presto morta di fame.
Ma Yama-Uba non morì. Si diresse nelle montagne e trovò rifugio in una caverna. Molti anni di solitudine la resero pazza e cannibale, vivendo esclusivamente della carne di chiunque uccidesse. Costruì una piccola capanna nelle profondità della foresta e da allora le sue prede sono i viaggiatori che si perdono nelle montagne. 
Appare ai loro occhi come una donna giovane e dai modi gentili, offrendo loro riparo per la notte nella sua capanna. Una volta colti dal sonno, Yama-Uba li uccide e li divora. A volte usa gli stessi capelli per intrappolare le sue vittimi e attirarle verso la grande bocca.
Alcune storie raccontano che la strega della montagna si offre di indicare la strada giusta al viaggiatore che la incontra dopo essersi smarrito, ma invece lo porta sulla cima di un dirupo e fa sì che egli precipiti sulle rocce sottostanti. Yama-Uba infine si ciba dei suoi resti. 


In una storia si narra di una madre incinta che, sulla strada per il suo villaggio, si trovò costretta a dare alla luce il figlio in una vecchia capanna sulle montagne, assistita da un'anziana donna del luogo che soltanto dopo scoprirà essere Yama-Uba, la quale divorerà il piccolo appena nato. 
Secondo un'altra leggenda, la vecchia strega sarà colei che crescerà l'orfano Kintaro, eroe guerriero del folklore giapponese. 


Secondo altre leggende Yama-uba viene descritta come una futakuchi-onna, ovvero una donna con una bocca sulla nuca nascosta dai capelli, oppure come una donna maledetta che ha come unica debolezza un fiore segreto che contiene la sua anima.
Yama-uba è la protagonista di un'opera teatrale Nō dal titolo Yama-uba, la dama delle montagne

mercoledì, ottobre 22, 2014

American Horror Story - Freak Show - Recensione 4x02

 
Il parallelismo e i continui incroci tra la vicenda dei mostri e quella dell’allegra famigliola straricca è qualcosa di meraviglioso, e in questa puntata si è raggiunto un livello a dir poco fantastico. Confesso che non credevo che si potesse andare oltre la folle richiesta di comprare le gemelle siamesi, e invece Ryan mi ha stupito di nuovo, come non faceva da tempo.

Da un lato ci sono i nostri cari freaks cercano di lavorare sodo per conquistare un posto nella normalità di una società che tutto vorrebbe meno che avere a che fare con loro. Certo, pur sempre mantenendo fede alla loro apparenza/essenza di mostri: emblematica è la scena in cui rivendicano la propria normalità mentre dissotterrano il corpo del poliziotto che hanno ucciso, per incendiarlo ed eliminare ogni loro prova di colpevolezza.

Dall’altro abbiamo la mia nuova famiglia preferita delle serie tv: Gloria e Dandy Mott, che aborrano la normalità e la noia che ne consegue con tutto il loro essere. Gloria, emblema della madre ossessionata dal figlio, cede ad ogni suo capriccio - e parliamo di un ragazzetto fatto e finito - pur di soddisfarne l’insana sete di follia. Il colpo di genio qui è d’alta scuola: Gloria noleggia Twisty il Clown per ravvivare le giornate del povero piccolo annoiato Dandy. La scena di loro due nella stanza dei giochi del trentenne capriccioso è pura poesia. Non solo, e io qui mi sono sciolta in capriole e inchinata al cospetto degli sceneggiatori, quando finalmente gli ostaggi del Clown malefico sembravano correre verso il futuro e la libertà, ecco che Dandy compare nel bosco, promettendo aiuto alla ragazza. E invece che fa? se la carica in spalla e gongola un atroce “Clown, look what I have for you” per poi renderci ammirati spettatori della sua pazzia quando aggiunge “You’ll have to do a much better job in confine ME if we are going to have any fun”. Niente da aggiungere.

Attesa inoltre ben ripagata quella per l’ingresso in scena di Angela Basset, che entra di diritto nel circo dei freaks con la sua peculiare terza tetta e un marito, l’Uomo Forzuto, che è il vero elemento di rottura del gruppo.

Bellissima a mio avviso anche la scelta di far ribollire di Jelosia la stella e padrona del circo, Elsa Mars, il cui splendore sembra essere offuscato dall’inaspettata voce da usignolo di una delle teste delle gemelle siamesi. La strategia? ovviamente mettere le gemelle l’una contro l’altra. Alla fine chi tenterà di ammazzare prima chi?

Ma l’ultimo grido di dolore l’ha lanciato il freak più dolce di tutti, il piccolissimo e sottovalutato Meep, che per me poteva dare grandi soddifsazioni. Ryan, ti voglio bene, ma i miei preferiti li fai fuori tutti peggio di Shondona Rhimes.

Lo ammetto, aspetto la terza puntata principalmente per vedere come evolverà la bromance follia più malata e inaspettata della storia, quella tra Dandy e Twisty.

Twandy, vi shippo con tutta me stessa!

martedì, ottobre 21, 2014

Rassegna Bravòff: Giocondo


E' la storia di una scarpetta. Di una donzella che l'ha smarrita.
Così Cenerentola appare il filo conduttore dello spettacolo “Giocondo”, tenutosi al Teatro Bravòff in occasione della Prima Rassegna il 16/17 ottobre, con Francesco Tammacco, Pantaleo Annese e Betty Lusito.
La favola apre e chiude la rappresentazione giocosa della poesia italiana, nella quale si canta, si balla e si interagisce con il pubblico.
All'inizio dello spettacolo, viene decantato un omaggio a Vittorio Bodini, a cui la stessa rassegna è dedicata. Un grande poeta e traduttore barese lasciato purtroppo in disparte dalla letteratura.

In una climax di situazioni comiche, viene raccontato l'amore, la fame, la povertà e la morte. Temi forti alleggeriti dalla risata e dalla musica tradizionale.
Ridere per riflettere e per arrivare al cuore dei presenti, sempre stimolati e coinvolti nelle situazioni.

Uno spettacolo che prende spunto dalle prime forme di poesia giocosa dai grandi nomi come Cecco Angiolieri, Cielo D'Alcamo, Giorgio Baffo, Dante e tanti altri.
Uno spettacolo con maschere, danza, canti e burattini nella direzione del recupero dell'oralità drammatica stessa tipica dei giullari del medioevo.

Si raccontano storie, si vivono momenti che ricordano tante situazioni del quotidiano, e quella scarpetta in realtà è solo un contorno a quella che è la vera trama.
Spaccati del vissuto per dare vita ai temi scottanti della vita, per cui viviamo e combattiamo.
Si passa dal giullare, alla coppia innamorata, dal teatrino delle marionette col famoso Pulcinella alle tre “comare” di Chiesa.
Una comicità amara che arriva.

La Compagnia Carro dei Comici ricrea così, in modo magistrale, un ambiente popolare perfetto nel quale rispecchiarci e per il quale ridere e immedesimarsi seppur così distante nel tempo.

Un ambiente giocoso e pungente per educare la gente ridendo.

The Dark Side of the Moon. Don't be afraid to care.

“and everything under the sun is in tune
 but the sun is eclipsed by the moon”


The Dark Side of the Moon (1973) è l’ottavo album in studio dei Pink Floyd.
The Dark Side of the Moon è un concept album su tutto ciò che può distruggere, deteriorare la mente di un uomo, su tutto ciò che porta alla follia.
The Dark Side of the Moon è un meraviglioso inno alla decadenza.
The Dark Side of the Moon è storia.

Il disco nacque da un’idea e una volontà comune di tutti e quattro i membri del gruppo (Gilmour, Mason, Waters e Wright), cioè quella di dar vita a un’espressione politica, filosofica e umanitaria che sentivano il bisogno di comunicare, ispirandosi e riferendosi in modo molto (forse anche troppo) diretto ai problemi di mente del loro vecchio amico, fondatore ed ex- componente dei Pink Floyd Syd Barrett, esplorando quindi la psicologia umana e cantando la decadenza in ogni brano del cd. The Dark Side of the Moon, oltre ad essere un’opera provocatoria e “troppo sincera”, racchiude dei suoni e delle musiche del tutto nuove per quel tempo. I Pink Floyd, dopo aver abbandonato insieme al giovane Syd anche la vena psichedelica che li distingueva, si dedicano a suoni più materiali, più “terreni”, che rendano l’idea di quello che stanno cantando, l’atmosfera spaziale dei precedenti album lascia spazio a musiche più concrete e concettuali e i loro testi, pur rimanendo sempre coerenti al loro stile, diventano più diretti, più ironici e amari.

L’album si apre con Speak to me, con dei battiti cardiaci, diventano sempre più forti e veloci, piano piano si aggiungono altri suoni che si sovrappongono ritmicamente, c’è il rumore di un registratore di cassa che poi ritroveremo in Money, in un secondo momento parte la base, una risata potente e sempre uguale e in sottofondo alcune voci, sono degli amici della band che, intervistati da Mason, parlano della pazzia.
«I've always been mad. I know I've been mad, like the most of us are. Very hard to explain why you're mad, even if you're not mad»....
Parte all’improvviso Breathe, un’intro che è diventata leggenda, mette i brividi, un invito a respirare, a fermarsi ogni tanto per scegliere la propria vita, per non farsi sopraffare dalla frenesia del mondo. Una lunga spirale di suoni fortissimi, inquietanti, un aereo che si allontana e si avvicina a ripetizione, delle esplosioni in lontananza. Il brano ha una seconda parte, cioè il quinto pezzo del disco: Breathe Reprise.

Sulla stessa lunghezza d’onda è il terzo pezzo: Time. Orologi, campane, sveglie, ticchettio di lancette, una triste e rassegnata riflessione sul passare del tempo, un altro invito, questa volta a non sprecare neanche un giorno della nostra vita. La voce di Gilmour arriva ad una intensità splendida, occhi chiusi ed espressione concentrata, continua il suo racconto… “The sun is the same in the relative way, but you’re older”.
E’ la volta di Money, chi non la conosce? Sassofono che scandisce il ritmo del brano, lunghe parti strumentali come sempre, si alternano velocità e lentezza. “« Money get back / I'm all right, Jack / Keep your hands off my stack / New car / Caviar / Four star daydream / Think I'll buy me a football team. ». Un altro motivo di decadenza, questa volta quasi “banale”, come dice Roger Waters: i soldi.
Dopo Any colour you like arriva finalmente Us and them, il pezzo secondo me più bello e vi prego, ascoltatelo con il testo davanti agli occhi. Una poesia stranamente, insolitamente dolce per i Pink Floyd, uno sguardo sulla peggior decadenza che possa esserci: la guerra, il campo di battaglia visto dagli occhi di un soldato. Non voglio spendere molte parole su questa canzone, ogni cosa sarebbe superflua. Chiudete solo gli occhi, fatevi trasportare dalla voce di David che a un certo punto sembra incrinarsi, dal pianoforte e dall’ immancabile sassofono che suona melodie di altri mondi.
“Us and them/And after all we’re only ordinary men”...  

E dopo Brain damage riferita chiaramente alla decadenza di Syd Barrett, parte la maestosa Eclipse, un canto dedicato alla morte, pochi secondi, l’immagine del sole oscurato dalla luna. Di nuovo dei battiti.

"And if the cloud bursts, thunder in your ear 
You shout and no one seems to hear 
And if the band you're in starts playing differents tunes 
I'll see you on the dark side of the moon."

lunedì, ottobre 20, 2014

Cinema del 900, svago o propaganda?


Il cinema, come rudimento di come lo concepiamo oggi, nasce verso la fine del 1800 grazie soprattutto ai fratelli Lumiere ed a Thomas Edison.
Quella considerata come la prima ripresa cinematografica, denominata Roundhay Garden Scene,, ha una durata di circa 2 secondi e fu prodotta nell’ottobre 1888 da Louis Aimé Augustin Le Prince
Il cinema di quei tempi, tuttavia, è ancora molto lontano da come lo intendiamo noi ora, nella cività delle immagini. Viviamo, infatti, in un fiume inesauribile di immagini, che ci documentano i problemi e le vicende del nostro tempo, o ci invitano allo svago, al divertimento.
Il cinema, come qualsiasi altro processo in sviluppo, ha attraversato parecchie fasi.
E’ molto interessante, analizzare le linee generali della cinematografia del 900, in quel periodo ancora in fase di perfezionamento, soprattutto nel nostro “Bel paese”.
Tra il 1903 ed il 1909 in Italia, nacquero le prime industrie cinematografiche, come per esempio: Cines, Milano Film, Caesar Film e Roma  Film.
Accanto alla fondazione di molte industrie cinematografiche, si sentì il bisogno di costruire le prime sale cinematografiche nei centri urbani più importanti e frequentati.
Nel 1912, l’Italia conoscerà la sua massima espansione a livello cinematografico, vennero prodotti solo a Torino ben 569 film. Negli anni prima della guerra, Roma si affermerà come il principale centro produttivo del cinema.
I primi del 900 furono, per l’Europa in particolare, un periodo molto travagliato a causa del primo conflitto mondiale e dei conflitti antecedenti ad esso.
E’ questo il periodo in cui le riproduzioni storiche si fecero strada; l’Italia venne spesso raffigurata come un paese valoroso e pieno di ambizioni a livello internazionale, così, anche grazie alla campagna per la conquista della Libia, questi film cominciarono ad adottare una connotazione nazionalista e affine all’imperialismo, ancora prima del ventennio fascista.
Nel periodo fascista, infatti, il giovane cinema italiano, cambia quasi completamente funzione.
Mussolini, appena salito al potere, capì subito quali erano i metodi più efficaci per trasmettere l’immagine politica del fascismo.
Egli si assicurò il monopolio dell’informazione cinematografica  nel 1926,con una legge apposita, mediante la statalizzazione dell’Unione Cinematografica Educativa (LUCE).
L’istituto LUCE nasce subito dopo la Marcia su Roma, come “Sindacato per l’istruzione Cinematografica” con lo scopo di produrre e distribuire film a carattere didattico.
Da questo momento,la storia successiva del LUCE è parte integrante delle tecniche di organizzazione della propaganda e di controllo dei mass-media messe in atto dal regime.
Un decreto del 3 aprile 1926 stabiliva infatti l’obbligo di proiettare in tutte le sale italiane,un cinegiornale ad ogni proiezione, sancendo così, in maniera definitiva, il monopolio dell’informazione cinematografica che si intendeva affidare da subito all’ente LUCE.
La cinematografia, che è ancora nel primo periodo del suo sviluppo, presenta un grande vantaggio sul giornale e sul libro. Essa parla agli occhi, parla un linguaggio comprensibile a tutti i popoli della terra ed a tutti i ceti sociali; per questo venne strumentalizzata, per perseguire fini spesso poco nobili, e sicuramente molto lontani da ciò per cui era stata creata e perfezionata.

venerdì, ottobre 17, 2014

American Horror Story - Freak Show - Recensione 4x01


Diciamocelo, la domanda isterica che ogni fan di American Horror Story si pone di anno in anno non riguarda né la trama né l’ambitissimo nome dello spacciatore di Ryan Murphy. No, il popolo della serie tv più malata degli ultimi 20 anni ogni estate ha una sola domanda in testa: riusciranno Murphy e compagnia bella a rendere Jessica Lange ancora più figa?

Ebbene, se ancora non avete visto la puntata, non abbiate paura, almeno di questo. Stavolta, se la pettinatura non è delle più convincenti, è bastato aggiungerle una sfumatura tedesca all’accento che la magia si è compiuta di nuovo. Se ci fosse un Emmy per la figaggine, la Lange se lo porterebbe a casa a mani basse, in barba a tutte le attricette che sculettano con le cosce al vento tra licei e uffici governativi.

Ma, dopo questo breve e doveroso preambolo sulla fantastica Jessica Lange, passiamo all’aspetto secondario della serie. La serie, appunto.

Spero di non dovermi ricredere dopo la seconda puntata, ma pare che la premiata ditta dell’orrore sia tornata agli antichi fasti.

Dopo averci ammorbato con un Asylum partito bene e colato a picco tra gli arzigogoli di una trama densa di spunti fini a loro stessi e poco sviluppati, e con un Coven che, abbiate pietà, non aveva un senso né un intreccio logico che legasse una puntata all’altra, forse forse Murphy ci ha concesso la grazia. Forse forse ha deciso di sfruttare l’immenso potenziale del cast, degli sceneggiatori e di tutti i pazzi a cui è riuscito a distribuire le sue pillole della felicità per confezionare un prodotto qualitativamente congruo con le aspettative di chi segue la serie da quel capolavoro che fu la prima stagione. Ah, la prima stagione, quanti ricordi.

Quindi venghino signori venghino sotto il tendone delle meraviglie.

Elsa Mars, aspirante star che nonostante l’età avanzata continua a covare sogni di gloria, vi condurrà nel suo affascinante mondo, popolato da veri e propri mostri, se spaventosi solo in apparenza sarà il tempo a dirlo.

Se Ryan davvero è tornato in sé, e ne è nuovamente uscito per creare la serie, sarà un vero e proprio viaggio quello che ci aspetta. La psicologia dei personaggi può davvero offrire un terreno fertile per un’interessantissima esplorazione del tema del diverso, dell’accettazione prima di sé e poi degli altri, delle condizioni alienanti cui una cultura (la nostra come quella degli anni ’50, anni in cui è ambientata la serie) può sottoporre individui considerati strani, diversi, mostri appunto; sono curiosa di vedere che piega prenderà la serie, fin dove la mostruosa deformazione del corpo può intaccare la mente e tramutare le persone in mostri.

Mi riservo di commentare più nello specifico dalla seconda puntata, poiché nella prima vi sono alcune chicche inaspettate che devono rimanere come tali proprio fino alla fine.
Ma dalla prossima l’allarme spoiler sarà ben evidente nel titolo, anche perché la recensione uscirà quasi in concomitanza con l’uscita della puntata, nella speranza che l’adrenalina muova a mille cuore e penna.

Oscar Wilde. Tutta l’arte è completamente inutile


L'arte può avere varie interpretazioni, e le ha avute nel corso dei secoli. 
Una definizione d'arte di artista che mi ha particolarmente colpito è quella data da Oscar Wilde nella prefazione del suo romanzo più noto, "Il ritratto di Dorian Gray". 
Wilde premette al romanzo una serie di affermazioni spiazzanti e provocatorie, con le quali intende abbattere i luoghi comuni del pensiero borghese sull’arte e l’artista.

L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte e nascondere l'artista è il fine dell'arte.
Il critico è colui che può tradurre in diversa forma o in nuova sostanza la sua impressione delle cose belle.
Tanto le più elevate quanto le più infime forme di critica sono una sorta di autobiografia.
Coloro che scorgono brutti significati nelle cose belle sono corrotti senza essere affascinanti. Questo è un errore.
Coloro che scorgono bei significati nelle cose belle sono le persone colte. Per loro c'è speranza.
Essi sono gli eletti: per loro le cose belle significano solo bellezza.
Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Questo è tutto.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il proprio volto riflesso nello specchio.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto riflesso nello specchio.
La vita morale dell'uomo è parte della materia dell'artista, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di un mezzo imperfetto. L'artista non desidera dimostrare nulla. Persino le cose vere possono essere dimostrate.
Nessun artista ha intenti morali. In un artista un intento morale è un imperdonabile manierismo stilistico.
Nessun artista è mai morboso. L'artista può esprimere qualsiasi cosa.
Il pensiero e il linguaggio sono per un artista strumenti di un'arte.
Il vizio e la virtù sono per un artista materiali di un'arte.
Dal punto di vista formale il modello di tutte le arti è l'arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il modello è l'arte dell'attore.
Ogni arte è insieme superficie e simbolo.
Coloro che scendono sotto la superficie lo fanno a loro rischio.
L'arte rispecchia lo spettatore, non la vita.
La diversità di opinioni intorno a un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale.
Possiamo perdonare a un uomo l'aver fatto una cosa utile se non l'ammira. L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente.
Tutta l'arte è completamente inutile.
 
Risalta, in primo luogo, il culto della bellezza e della forma, considerati come valori fini a se stessi. L'arte non ha alcuno scopo educativo e morale; i vizi e le virtù sono una semplice «materia dell'arte», ma non hanno nulla a che vedere con il significato estetico dell'opera. In questo senso la vera «arte è perfettamente inutile». Di qui la definizione tautologica secondo cui «la cosa bella significa soltanto bellezza»; solo gli «eletti» possono capirla ed apprezzarla, costituendo quindi il pubblico ristretto, particolarmente raffinato e selezionato, al quale si rivolge l'artista decadente.

Rispetto all'opera lo scrittore deve rimanere celato non perché il suo punto di vista coincide con quello oggettivo della scienza (come accadeva nella poetica del romanzo naturalista), ma perché la sua vita, come punto di partenza soggettivo, si risolve completamente, sublimandosi e trasfigurandosi, nella compiutezza della creazione. A queste premesse si ispira il principio decadente dell'arte pura, che vale di per se stessa, acquistando un significato assoluto, al di là di ogni contaminazione con la realtà. Si afferma anche, di conseguenza, un nuovo modo di impostare il rapporto arte-vita, nel senso, indicato ancora da Wilde, secondo cui non è l'arte che imita la vita, ma viceversa.

Il carattere intellettualistico e riflesso di questo tipo di letteratura, che non ha nulla di immediato e spontaneo, presenta non pochi elementi di contatto con l'esercizio della critica letteraria. Il critico è colui che collabora a far sprigionare i significati del testo, contribuendo allo stesso processo creativo che l'arte prolunga al di là di sé; l'interprete coincide con l'esteta, con il dandy raffinato, rientrando in una ristretta cerchia di «spiriti colti».

Ne consegue il rifiuto della tradizione letteraria e delle sue tendenze dominanti, il «romanticismo» e il «realismo», perché dipendenti dalla realtà.