martedì, marzo 31, 2015

La realtà incisa nel legno

Molte volte fuggiamo all'estero per scoprire cose nuove, nuove culture o nuovi orizzonti quando invece abbiamo ancora molte realtà nascoste da scovare nel nostro Paese. È stato davvero per caso che mi sono imbattuta nelle opere di questo artista italiano; il suo nome è Peter Demetz e le sue mani riescono a fare delle magie con il legno.

Théophile Gautier diceva che il materiale più adatto per le sculture è il possente e lucente marmo, ma davanti a questo sculture di legno non si può certo restare indifferenti. In queste venature sembra scorrere del sangue vero e le espressioni su questi volti sembrano così reali da ingannare al primo sguardo.



Demetz nasce a Bolzano e frequenta l’istituto d’arte di Ortisei, consegne il diploma di maestro sculture ed ora espone e lavora in Italia e in Europa.
Le sue sculture in legno rappresentano un forte intreccio fra la semplicità delle azioni quotidiane e la maestria e la precisione con cui sono realizzare, così realistiche da non sembrare solo delle sculture.


Il legno, materiale il più delle volte considerato troppo grezzo o comunque non adatto a delle opere di alto spessore artistico, diventa il protagonista indiscusso tra le mani di questo artista, acquista valore e vitalità e riesce a trasmettere il suo calore ai nostri occhi. Le azioni quotidiane come il guardarsi allo specchio o il leggere un libro, svolte da persone comuni diventano anch'esse meravigliose opere d’arte.

Adesso lascio che siano queste sculture a parlarvi e a stupirvi.

 





giovedì, marzo 26, 2015

La buona novella. Fabrizio De André



Mi è capitato spesso di leggere su vecchie antologie musicali, che questo album non fu accolto con onori e allori neppure dallo zoccolo duro dei sui fan. Al primo ascolto non fu capito, forse neppure al secondo. Fu piuttosto un buon pugno nello stomaco ai più. A chi aspettava con ansia un inno alla protesta e alla contestazione di quegli anni, com'era di moda tra i cantautori impegnati, dovette dichiararsi sorpreso. Si ritrovò davanti infatti alle vicende di un Cristo, mai stato così terreno, così vivo. Fabrizio De Andrè spesso rispondeva che sì, lui era convinto di cavalcare la protesta, in fondo, diceva, io canto del più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Con le sue parole:

Eravamo in piena rivolta studentesca; i miei amici, i miei compagni, i miei coetanei hanno pensato che quello fosse un disco anacronistico. Mi dicevano: cosa stai a raccontare della predicazione di Cristo, che noi stiamo sbattendoci perché non ci buttino il libretto nelle gambe con scritto sopra sedici; noi facciamo a botte per cercare di difenderci dall'autoritarismo del potere, dagli abusi, dai soprusi.Non avevano capito - almeno la parte meno attenta di loro, la maggioranza - che La buona novella è un'allegoria.Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali.

Credo che oggi - ritritando la banalità dell’espressione – questo album sia di un’attualità sconvolgente. Negli ultimi tempi, mi sono abituato infatti a leggere di Dio, o a sentirne discutere, sempre con il prefisso negativo. I termini che più gli si accompagnano sono la paura, la falsa giustificazione e spesso anche l'Odio. Sì, l'odio come presentazione, come anticamera.
Per ribaltare la situazione faccio alla Faber, appunto! In questi stessi giorni ascolto infatti, in un loop degenerativo, l’album di Fabrizio De Andrè La buona Novella. Il concept, come lo chiameremmo oggi, fu pubblicato nel 1970, dopo un lungo lavoro preparatorio. Lo studio fu guidato dall'analisi dei vangeli apocrifi, dagli scritti storici sulla figura del Nazareno, ma non solo. Per un lungo periodo infatti, laddove De Andrè faticava a trovare fonti scritte, le cercò sui muri affrescati. Si concesse un excursus nelle chiese che, a sua conoscenza, potevano raccontare qualcosa dalle pareti trasudanti medioevo e, quindi, tradizione popolare.
Da tutto questo nasce La buona novella, composto da: l'infanzia di Maria, Il ritorno di Giuseppe, Il sogno di Maria, Ave Maria , Maria nella bottega d'un falegname, Via della Croce, Tre madri e Il testamento di Tito. Il tutto introdotto e concluso dal laudate che ci introduce le vicende di Cristo con la lode il signore e termina con la stessa lode indirizzata però al figlio dell'uomo.
Molto è già stato scritto e detto su questo album quindi ho optato per un piccolo esperimento di linguistica(1). Lo so, è atroce ciò che sto per fare: è un po’ come se, animato da poteri ultraterreni, togliessi, non solo la passione, ma anche il piacere stesso nel fare l'amore. E' come se fosse una musica senza melodia e senza poesia. Un puro atto meccanico, senza pretese. Vedo già il tuo naso che si storce, ma concedimi qualche istante, vediamo assieme cosa ne esce fuori.

E’ interessante notare come, in un intero album dedicato a Gesù Nazareno, il suo nome non non compaia mai. E’ sotteso in tutti i pezzi, la sua luce illumina tutti gli angoli possibili, ma non viene mai citato. E' come sentire l’odore dei ravioli fatti in casa la domenica mattina, ma non riuscire mai neppure a vederli. Rimane sullo sfondo, anzi è lui stesso lo sfondo.
La vera protagonista è infatti Maria. Se sommiamo la frequenza con cui i termini Maria e Madre appaiono nei testi, totaliziamo la bellezza di ventuno ricorrenze. Maria rappresenta una sorta di guida per tutto il percorso che il cantautore ci propone. E' il nostro Virgilio nell'ascolto dell'album.
Le parole che hanno la maggior probabilità di trovarsi nelle vicinanze(2) del termine Maria (e che quindi colorano la sua figura) sono Ave (8,41) e  (7,08)(3). Questo binomio ci permette di analizzare la sua natura duplice: la prima terrena, di donna e madre, la seconda divina. Viene invocata, pregata perché possa intercedere per noi. Come madre, Maria è prima di tutto una madre normale, umana al cento per cento, carica di debolezze e con la voglia di protezione di tipica di una qualsiasi madre. Troviamo in aggiunta altri due termini che ne caratterizzano la figura: muore(7,63) e piange(8,37), a presagire quale sarà il suo ruolo nella narrazione storica.
Di uguale interesse è anche il discorso attorno alla parola figlio. Compare nei testi delle canzoni ben diciassette volte, facendone uno dei termini più ricorrenti. Le quattro parole che statisticamente è più facile trovare nelle vicinanze di questo termine sono: voglio, posso, pensarti, avrei (8,28). Sono termini terreni: pensare al figlio, avere un figlio, volere un figlio, poter avere un figlio/ poter essere un [buon] figlio. Il figlio in questione, Gesù, è prima di tutto figlio di una donna terrena, è figlio di Maria appunto. Un figlio fatto di carne e pronto a patire le sofferenze umane,(Sangue 6,28 e Cuore 5,7). Si ripropone qui il concetto che ci permette di osservare il soggetto del racconto, Gesù appunto, attraverso gli occhi di sua madre. Per avvicinarlo al termine Dio, dobbiamo scendere nel range statistico, di almeno un gradino. Lo troviamo infatti con una statistica di 6,14.
Passando al termine Dio, (che rimane comunque il lemma più volte ripetuto nel testo) è assolutamente chiaro che siamo di fronte a una figura che viene chiamata (8,49), invocata, pensata (6,91), ma non solo. A prevalere sembra infatti essere una sfumatura quasi al di fuori dalla concezione del Dio del nuovo testamento. E' un temuto(7,91), lodato(7,50), che uccide (7,49) ; non c'è traccia del perdono, tipico del messaggio cristiano tout cour.
Dopo questo piccolo esperimento non mi resta che liberarti e visto che sei arrivato fino in fondo ti propongo l'ascolto di uno dei pezzi dell'album. Si tratta de Il ritorno di Giuseppe. Il falegname rientrata a casa dopo una lunga assenza e ad aspettarlo c'è Maria, gravida di paure e di un figlio.








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(1) L'analisi è stata condotta con l'utilizzo di un software OS AntConc disponibile su http://www.laurenceanthony.net/software.html
(2) Con questa espressione ho sintetizzato ciò che i linguisti definiscono in molti modi, ognuno con delle tecniche di lavoro ben argomentate. Io mi sono limitato ad analizzare le parole che si trovano a sinistra e a destra del lemma in analisi, assumendo come range le cinque o le sei distanze, tenendo in considerazione il numero di volte che il termine rientra nel radar di analisi e la sua vicinanza con altri termini.
(3) I numeri che si trovano in corrispondenza dei termini segnalano un indice numerico per misurare la grandezza statistica descritta al punto due.

venerdì, marzo 20, 2015

The Originals

Mi sveglio sempre in forma. Mi deformo attraverso gli altri.
                                                                         (Alda Merini)

La citazione di apertura, se non fosse della grande Alda Merini, sarebbe sicuramente di Klaus.
Klaus è il cattivo, almeno lo era. Ha sicuramente mostrato più facce, più sfumature. Attraverso i suoi occhi vediamo le emozioni più impensate, quelle che probabilmente non saremmo in grado di mostrare a nessuno, nemmeno a noi stessi. Passa dall'essere il peggior nemico al mondo, spietato, affamato di vendetta (e non solo!), bramoso di vittoria per poi essere il padre dolce e affettuoso, senza mai tralasciare la passione per la giovane fortunata di turno...
Ma i cattivi sono sempre stati cattivi? Si nasce malvagi o si diventa?
Nel caso di specie, in questa serie tv, dove i protagonisti sono assetati vampiri "originali" sembra che cattivi lo si diventi. Certo, questi bevitori di sangue spietati, non hanno avuto poi alle spalle una famiglia normale dove l'amore reganava sovrano. Tutt'altro.Padre violento e dispotico, madre mezza pazza con tanto di amante, lupo...Tuttavia i cattivi non si discostano mai lontano dalle fragilità comuni che viviamo ciascuno di noi. E per quanto ci si sforzi di creare un muro con gli altri, le nostre debolezze si rivelano nei modi più impensati. La nascita di un figlio, un innamoramento, la passione per qualcosa o qualcuno. Così nasce una falla, e in quella falla si racchiude tutto ciò che per il cattivo stesso è motivo proprio di malvagità.
Come una fonte da cui attingere cattiveria.


Klaus è uno dei tanti fighi, è uno dei tanti cattivi... gli altri fratelli non sono nè santi nè puri di cuore. Lui, però, rappresenta l'eccellenza. Più che forza fisica, gioca sulla mente, sulla psicologia, sulla tattica. Le sue guerre, come un generale molto audace, sono studiate a tavolino con cura e dovizia.
Se il cane dorme, non svegliatelo...
Klaus è così... instintivo e forte, calcolatore e scattante. Klaus rapprensta il connubbio perfetto del malefico nemico che nessuno voglia temere, eppure nelle sue sfumature (50??? magari....) si scorge il desiderio di pace, di serenità, di equilibrio.



Un po' come Regina (di Once upon a time!) alla ricerca costante del suo ... Lieto Fine!

mercoledì, marzo 18, 2015

Festa di san Patrizio, tra religione, tradizioni e birra verde.

La festa di San Patrizio, conosciuta internazionalmente come il Saint Patrick Day, onora il 17 marzo il patrono d’Irlanda, santo cattolico e protettore dell’isola verde: un appuntamento religioso cardine della società irlandese, ma che nel resto del mondo attira ai festeggiamenti anche tutti coloro che non vogliono perdere l’occasione per ascoltare musica folk, bere birra doppio malto e celebrare una terra vicina -siamo pur sempre in Europa- ma che ha saputo conservare il fascino misterioso tipico delle isole.
San Patrizio nacque in Scozia, a Kilpatrick, nel 387; gli Irlandesi, persone dotate di un bizzarro “sense of humour”, lo celebrano il 17 marzo, giorno in cui Patrizio morì a Downpatrick - Irlanda – nell’anno 461. Nato da Calpurnius e Conchessa, due nobili Romani che vivevano in Britannia, Patrizio fu rapito a 14 anni da alcuni pirati che lo deportarono in Irlanda , dove visse in schiavitù come pastore. L’Irlanda era allora un paese pagano, affidato ai Druidi, ed il giovane Patrizio ne imparò la lingua ed i costumi. La sua anima fervidamente Cristiana lo sorresse durante i sei anni di prigionia al termine dei quali il Santo riuscì a fuggire, non senza prima aver avuto un sogno in cui Dio gli annunciava la sua futura opera apostolica in quel paese. Dopo la fuga, Patrizio intraprese lo studio della dottrina sotto la guida di Germanus, vescovo di Auxierre, dal quale fu poi ordinato sacerdote. Divenuto poi vescovo, egli giunse in Irlanda il 25 marzo 433, dove svolse la sua opera di canonizzazione per oltre 40 anni. Il suo carisma fece sì che numerosi discepoli si unissero a lui e che i membri di molte nobili famiglie si convertissero al Cristianesimo. Patrizio morì nel 461 a Saul, luogo in cui aveva eretto la sua prima chiesa. Fino a qui la storia, ma molte sono anche le leggende legate alla figura di questo straordinario Santo: egli adottò il trifoglio per spiegare ai semplici il concetto della Trinità, facendo così di quest’umile pianticella il simbolo dell’Irlanda e liberò l’isola dai serpenti, scacciandoli definitivamente dopo un digiuno di 40 giorni sul Croagh Patrick, la montagna su cui aveva edificato una chiesa nel V secolo.
Il 17 marzo è festa nazionale nella Repubblica d'Irlanda, mentre è una festività bancaria (bank holiday) nell'Irlanda del Nord. Celebrazioni vengono fatte anche nell'isola caraibica di Montserrat, in Canada, nel Regno Unito, in Australia, negli Stati Uniti d'America, in Argentina, in Nuova Zelanda, in Italia nel piacentino a Bobbio (PC), Caorso (PC), Grazzano Visconti (PC) e San Sebastiano dei Marsi (AQ) e nel maceratese a Treia (MC) .
Caratteristiche della Festa di san Patrizio sono anche le sfilate per le vie cittadine, soprattutto a Dublino, in Canada (a Montréal si tiene la parata più grande del mondo dopo quella di Dublino) e negli Stati Uniti (New York, Chicago, Boston).
La Festa di san Patrizio è stata inserita nel calendario liturgico della Chiesa cattolica già all'inizio del XVII secolo su pressione dello storico, nonché frate francescano, Luca Wadding, nato a Waterford (Irlanda sud-orientale). Il santo missionario veniva però già celebrato in alcune chiese irlandesi da parecchio tempo prima. In Italia era sempre celebrato a Bobbio, per il legame tra l'abbazia, il santo abate irlandese san Colombano e la terra d'Irlanda.
Le feste più grandi e caratteristiche fuori dall'Irlanda si festeggiano nelle città e nelle nazioni che ospitano una forte componente irlandese, come gli Stati Uniti (san Patrizio è anche il patrono della città di Boston) e Canada (nella bandiera della città di Montréal è raffigurato anche un trifoglio, per testimoniare la fortissima presenza irlandese in città).
La Festa di san Patrizio viene ormai celebrata in quasi tutto il mondo e non più solamente nelle comunità irlandesi. Le celebrazioni sono generalmente incentrate su tutto ciò che ha a che fare con l'Irlanda e il verde (colore simbolo dell'isola). In questo giorno infatti si suole mangiare cibo di quel colore e vestirsi della stessa tonalità. In particolare, sui vestiti ad esempio, non può mancare il trifoglio. Questa pratica era diffusa già agli inizi dei festeggiamenti in onore del santo; questo perché la tradizione afferma che egli spiegò il mistero della santissima Trinità agli irlandesi pre-cristiani proprio attraverso questa pianta a tre foglie. Di conseguenza, sia il vestirsi di verde il 17 marzo sia il trifoglio stesso sono diventati simbolo di quel giorno.
Ogni anno le acque del fiume Chicago (che scorre nell'omonima città) vengono tinte anch'esse di verde.
Una delle caratteristiche del St. Patrick’s Day è quella dei pub pieni sin dalle prime ore del mattino con i cittadini del posto e i turisti che brindano con i lunghi capelli bardati di verde. E anche la birra, in occasione delle festa nazionale, si colora di verde.
La tradizionalissima Irlanda ha ceduto a una novità di stile americano: la birra verde. Il procedimento è possibile attraverso l’utilizzo di un colorante alimentare blu. Il mix di giallo, colore originario della bevande, e del colorante dà vita alla tonalità che richiama da il St. Patrick’s Day.
Secondo la versione più accreditata il pioniere della birra verde è il professor Thomas H. Curtin, un medico che propose la novità nel suo clubhouse di New York nel 1914, oltre un secolo fa. Il successo non è stato però immediato. Il giornale online Vox riporta come ancora nel 1926 fosse indicata come un “intruglio anomalo”.
Contro la “birra verde” c’è stato un aspetto tecnico importante: quello è il modo di dire dei birrai, quando la bevanda è ancora ‘acerba’. Quindi non era proprio un modo ideale per promuovere l’iniziativa. Con il tempo, però, la tradizione ha ceduto il passo alla novità: oggi l’idea nata in America è tipica del St. Patrick’s Day. Anche se in tanti continuano a preferire un boccale della nera Guinness.

martedì, marzo 17, 2015

Zeppole di San Giuseppe


Ingredienti:
- 375 ml di acqua;
- 225 g di farina;
- 150 g di burro;
- 4 uova;
- 1 cucchiaio di zucchero;
- 1 pizzico di sale.

Procedimento.
Far bollire in un pentolino acqua, burro, zucchero e sale.
Aggiungere poi la farina.
Fate raffreddare in frigo e poi aggiungere le uova.
Aiutandovi con una tasca da pasticcere, su una placca da forno foderata di carta forno disegnate delle ciambelle con l'impasto, distanziandole opportunamente perché in cottura tendono a gonfiarsi circa il doppio del volume iniziale. Ponete in forno a 160° ad asciugare per tre minuti, o fino a quando non si sono gonfiate.
Decorate ogni zeppola con un velo di crema pasticcera e con alcune amarene candite.

lunedì, marzo 16, 2015

Verdena - Endkadenz Vol. 1


Endkadenz vol.1, sesto album degli ormai affermati Verdena, è il primo dei due capitoli in cui si divide l’ultima faticosa opera del trio bergamasco formato da Luca e Alberto Ferrari e Roberta Sammarelli.
L’uscita del secondo, che si chiamerà Endkadenz Vol.2, è prevista entro l’inizio dell’estate.
Benché l’etichetta “Nirvana italiani” molto spesso assegnata al gruppo sia a mio parere esagerata, i Verdena con le loro melodie psichedeliche e noise, continuano a confermarsi una delle pochissime band grunge e alternative rock in Italia, dove forse solo gli immensi Afterhours sono riusciti negli anni a portare un’influenza musicale del tutto nuova (di questo genere) per il nostro paese, con musiche e tecniche di scrittura dei testi appartenenti a diversi generi, spesso anche molto diversi fra loro. Ma, se da un lato è apprezzabile il fattore della novità della loro musica, dall’altro, così come si può facilmente ascoltare anche in quest’ultimo cd, i testi dei brani, composti da Alberto, non hanno un senso ben preciso o un messaggio particolare, ma anzi, così come aveva ammesso da sempre il gruppo, le parole sono scritte in funzione della melodia, per darle colore. E’ possibile perciò dare ai testi diverse interpretazioni e significati, oppure, più semplicemente, non interpretarli affatto e godersi solo ed esclusivamente quello che è il punto forte dei Verdena: la parte strumentale.


Endkdenz Vol. 1, con i suoi ritmi primordiali, "sporchi", e disordinati, i suoi testi labirintici e apparentemente nonsense, i suoi ritmi incalzanti, potenti e tetri, non è sicuramente un album semplice, da lasciare lì nello stereo come sottofondo, è un disco frutto di un lunghissimo lavoro di tagli, aggiunte, sperimentazioni e rielaborazioni create da vecchie jam sessions e registrazioni, un'opera per tutti quelli che dicono che in Italia non esiste il vero rock e per chi lo ama, il rock. I Verdena, come avevano dimostrato fin dall'inizio, sono in grado di coniugare più stili in un unico disco, o anche in un unico pezzo, realizzando così, ogni volta, musiche che vanno dal "semplice" e più leggero alternative rock (Nevischio) al grunge tipico dei Nirvana (Un po' esageri e Ho una fissa), fino ad arrivare al noise psichedelico (Sci desertico), e rendendo particolarmente difficile inquadrare i loro lavori.
I Verdena, con quest'ultimo disco, continuano ad essere una continua rivelazione, rimanendo sempre fedeli a se stessi, ma mai uguali. 

Un po' esageri, il singolo estratto dal disco:


venerdì, marzo 06, 2015

Intervista all'artista Eleonora Gadducci

Velvet
Artista poliedrica e raffinata, Eleonora Gadducci ci apre le porte del suo mondo fatto di emotività e mistero, un luogo creativo e fantastico dove la sua arte prende forma. Spaziando per diversi campi, dalla fotografia, alla pittura, alla musica ci guida alla scoperta dei suoi lavori e della sua interiorità, così densa ed intrigante. Come un albatro (cantava così Baudelaire) planiamo nella sua mente per scoprire dove nasce il paese delle meraviglie di questa emergente e affascinante artista.

Surreal Vanity in the Pink Room-trittico, grafite e matite colorate su carta
Fin da piccola sei rimasta affascinata dai poeti decadenti francesi, perché? Cosa ti hanno comunicato?
Sono rimasta affascinata dai poeti decadenti francesi perché con le loro opere sono stati capaci di trasmettermi un nuovo modo di concepire l’arte, non più solo come un semplice atto creativo bensì come una via di fuga dalla realtà a favore di un mondo irrazionale nel quale abbandonarsi alle proprie visioni, lasciando alle suggestioni il potere di nutrire la fantasia e di renderla strumento atto a trasfigurare il disagio esistenziale, avvalendosi dell’arte “come riscatto, come possibilità di liberazione dal male di vivere.” (cit.Schopenhauer)

Adori anche il Piccolo Principe e Alice nel paese delle meraviglie. Mondi così lontani dalla decadenza parigina, cosa ti attrae? Come percepisce il mondo Eleonora?
Sia “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” che “Il piccolo principe di A. de Saint Exupéry, sono state due opere letterarie fondamentali durante la mia infanzia. Spesso quando ero piccola, un po' come oggi, amavo identificarmi nel cappellaio matto, l’estrosità di questo personaggio al limite dell’assurdo mi ha sempre affascinata così come l’atmosfera surreale e fuori dalle righe che fa da cornice all’intero racconto insieme ai numerosi nonsense e giochi di parole; del piccolo principe, invece, mi colpisce la disinvoltura con cui l’autore riesce ad affrontare temi di grande rilevanza con la delicatezza di un bambino offrendo vari spunti di riflessione sui valori fondamentali dell’esistenza.
Nella mia percezione del mondo sono di fondamentale importanza le emozioni, le suggestioni che la realtà suscita dentro di me; il mio modo di percepire è quindi puramente emotivo.
Out of Focus-Self Portrait

Hai definito la tua chitarra la fedele compagna della tua vita. Che musica accompagna la tua arte? Cosa componi?
La musica ha uno stretto rapporto con i miei momenti creativi, è per me fonte di ispirazione ma anche compagna di viaggio; quando ho qualche idea nella testa c'è sempre un brano musicale a tenerle compagnia.
Ascolto un po' di tutto, dalla musica classica a quella celtica anche se la mia preferita in assoluto è la musica rock : da Chuck Berry ai Queen, dal glam rock di David Bowie e Marc Bolan al progressive dei Pink Floyd, dal rock alternativo inglese fino alle sonorità psichedeliche di Syd Barrett (che apprezzo molto anche come artista visivo), passando per i Beatles il jazz, John Lennon & i Rolling Stones.
Ho iniziato a suonare la chitarra all'età di quattordici anni, per gioco o meglio per passare il tempo o forse per ucciderlo (cfr cappellaio matto); a sedici anni ho scritto la mia prima canzone: ”l’Irlanda negli occhi", sonorità folk, grezze, unite ad un testo un po' stravagante quasi nonsense, niente di pretenzioso come tutti gli altri miei brani che ad oggi sono circa una ventina ma che almeno per il momento preferisco lasciare in un cassetto assieme alle mie numerose poesie. Pensando alle mie canzoni ( se così si possono definire), mi torna in mente il verso finale di uno dei miei primi testi: “Ritagliando musica mentre osservo la mia strana estraneità”; penso che in queste parole ci sia molto di me, della mia creatività.

Che rapporto hai invece con la macchina fotografica, l'altra tua fedele compagna?
Per me la macchina fotografica è un essenziale strumento di comunicazione, di dialogo tra ciò che i miei occhi vedono ed il mondo, grazie alla fotografia posso riprodurre fedelmente la realtà ma posso anche decidere di interagire con essa tramite le mie percezioni.

I'll tell you a story
Hai una rubrica intitolata "Light & Shadows" su Gushmag. Qual è il tuo pittore preferito e perché?
Sì, da circa otto mesi ho una rubrica intitolata "Light & Shadows" sul social magazine Gushmag, dedicata all'arte ed alla cultura; nel corso dei mesi mi sono occupata con grande piacere di vari artisti emergenti ma anche di fotografi e pittori di chiara fama. Non ho un pittore preferito, non penso che nell'arte si possano fare preferenze, l'arte è un insieme di stati d'animo un enorme mosaico di emozioni in cui è difficile scegliere qualcosa rispetto a qualcos'altro; penso che l'arte vada ammirata e compresa laddove è possibile, ma se proprio devo fare un nome uno dei miei pittori preferiti è senz'altro Salvador Dalì perché le sue opere sono capaci di infrangere il confine tra reale e surreale, di spalancare la porta dei sogni, di regalarmi un brivido in più rispetto a molte altre.

Cosa c'è dietro alle tue opere? Qual è il loro messaggio?
Le mie opere nascono dalla necessità di far emergere il mio mondo interiore, di materializzare la mia anima trascendendo la realtà in una sorta di sublimazione creativa; i miei lavori assumono così la funzione simbolica di una cartolina spedita da un mondo che teoricamente non esiste ma che è parte di me, in tutto ciò non c'è però un messaggio, ogni mia opera è aperta ad una libera interpretazione, l'unico obiettivo è quello di trasmettere qualcosa sul piano emozionale.

Cosa provi, cosa senti quando dipingi o disegni?
Quando disegno o dipingo provo un profondo senso di libertà e gratificazione, è così bello vedere davanti ai propri occhi qualcosa che fino ad un attimo prima si trovava solo nella tua mente.

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I suoi lavori:
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